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    L’apparato umano

    – … E poi attraversavo questa rotonda in macchina e non potevo uscirne: rimanevo bloccata lì. Silvia si scostò nervosamente la frangia dagli occhi, fece un sospiro, bevve un sorso di vino rosso dal calice. Dal modo in cui abbassò lo sguardo mi resi conto che il racconto del sogno che aveva fatto la notte precedente e che ancora la tormentava, era terminato. Mi guardò sdegnata, come se non stessi cogliendo un’evidenza empirica.  – È un sogno chiarificatore: non posso continuare così, devo cambiare aria. Sapevo dove voleva andare a parare, ma non volevo darle l’idea che la sua fosse logica cartesiana. Mangiai con gusto l’ultimo boccone di insalata che…

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    Le mani

    Quella sulla soglia non è mia moglie. È la proiezione del mio senso di colpa. Viene avanti, come se non ci avesse visto; poggia la valigia a terra, ripone le chiavi nel vuotatasche e dice: – Molto fine –, poi scoppia in lacrime e fugge via. Cazzo! Dal palco dell’Ariston Achille Lauro mi grida Oh, no noo… E poi mi ricorda che Amanda sarebbe dovuta tornare domani.  Non doveva andare così. Da quando collabora con l’Opéra non è mai tornata di sabato. E telefona, anche, perché vada all’aeroporto a prenderla.  – Sei sposato? – mi chiede il diavolo accavallando le gambe.  Spengo la tv.  Il mio sdilinquito io è riflesso…

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    Incastri – pornoracconto operaio

    Quella volta sullo scuolabus mi si è incastrato un dito nel meccanismo della rototraslante.  Mi ero seduto sulla cassetta del dispositivo, mi ero messo lì pensando di non dare fastidio, non c’erano posti liberi, ma appena appoggiato mi era scivolato l’indice nella scanalatura del braccetto, quello che, ruotando, prima spinge in fuori la porta e poi la sposta, traslando, in avanti, così alla partenza, insieme alla rototraslante, fra gli ingranaggi si era chiuso anche il mio dito.  D’altronde le nostre mani sono fatte per gli incastri: si stringono nei saluti o si tengono per la paura, si sfiorano nell’amore e si afferrano nell’amplesso, si congiungono nelle preghiere e nel dolore;…

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    Si vince sempre

    La pubblicità era martellante, specie le mattine domenicali.  Finita la pandemia del decennio precedente, l’entusiasmo aveva preso tutti: si erano moltiplicate le olimpiadi dei quiz e i giochi in 4D, fino a giungere a un altro divertimento ludico chiamato Expergefactor – una vecchia parola inglese che suggeriva un qualcosa di simile a una svegliata improvvisa – e che garantiva una gioia costante: si vinceva sempre, comunque. Anche sbagliando. Anche non giocando. Persino dormendo. Ogni tanto, per caso, arrivava nella posta una comunicazione stringata dell’agenzia SiVinceSempre che informava il gentile cittadino di essere stato scelto dal sistema quale campione del gioco. Bastava solo che partecipasse alla trasmissione, la quale andava in…

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    Giardino segreto

    La camera ardente è piena di fiori. Non si negano a nessuno, la morte reclama rispetto, a prescindere dalla vita che è stata. E non si nega a nessuno un ultimo saluto. Eccoci allora, parenti, amici, conoscenti. Siamo così tanti che mi terrorizza l’idea di non riuscire a cogliere l’attimo. Poi lo trovo. L’impresario funebre chiede con gentilezza ai presenti di lasciare la sala entro dieci minuti. L’ultimo a uscire è mio marito con in braccio la nostra bimba; mentre chiude la porta mi guarda e mi fa un cenno di assenso. Lui è l’unico che sa. Lo sento rimanere appena fuori, a guardia, e unirsi al brusio soffocato dei…

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    Il carillon

    Ho le mie abitudini. Non voglio chiamarle manie, perché è un termine che non mi piace, sa di manicomio e rotelle mancanti. La mia testa funziona benissimo, soltanto che sono piuttosto scaramantico e mi affeziono troppo alle cose. Agli abiti, per esempio: a questo impermeabile, a questo cappello. Mi sono affezionato anche a questa panchina. Se la trovo occupata mi innervosisco ed evito di sedermi su qualche altra libera. Vedo tutto il viale da qui, la gente che passeggia; c’è la fontanella vicino, e quest’albero che gli fa ombra è il più bello del parco, anche se oggi pomeriggio non c’è bisogno di nessuna ombra e fa addirittura un po’…

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    Rumori di fondo

    Ogni tanto mi sto sui coglioni. Succede a tutti, anche se io, per la maggior parte del tempo, sono molto indulgente con me stesso. Quando faccio qualche cazzata sono sempre pronto a inventare una scusante. Ma a volte non ci riesco.  A volte capita che sia stanco, non preparato o che quello che ho combinato sia particolarmente grave e mi dico:  – Max, questa volta hai veramente fatto una cazzata, sei proprio un coglione. Quando capita, mi piace pronunciare la frase urlando come se litigassi con qualcuno.  Molto soddisfacente.  Resisto alla tentazione di gesti autolesionisti. I tagli e i lividi devono essere giustificati, sono evidenti, rimangono nel tempo. Magari un…

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    La colpa

    È il momento dei regali dei grandi.  Noi abbiamo già aperto stamattina quelli sotto l’albero e poco fa abbiamo scartato quelli dei nonni, degli zii e, ovviamente, quello della prozia Edwige.  Quest’anno siamo venuti al ristorante. Mamma ha detto che nessuno aveva voglia di invitare tutti a casa per il pranzo di Natale. È da questa estate che Nonna Laura e nonno Gianni hanno portato la prozia Edwige a vivere con loro e la tavernetta è diventata il suo appartamento e quindi niente ritrovo nella loro sala al piano interrato per le feste. Peccato, a me piaceva.  Nessuno degli zii ha avuto un’altra idea: il soggiorno di zio Daniele è…

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    Apolide

    Osservo per un attimo la stanza: è grande e luminosa. Ci sono alte pareti a vetri e il pavimento in parquet, e tavoli in legno chiaro dai contorni rossi. Sembra un ristorante, ma non faccio in tempo a fissare l’idea che sento suonare la sveglia. La spengo, sono le sei ed è ancora buio: continuo ad alzarmi alle sei, anche se non ho più un lavoro. Non mangio, mi vesto come se fossi un Peter Pan che si toglie l’ombra e se la rimette. Cerco di fare piano per non svegliare Elisabetta, lei ormai è abituata a dormire fino alle sette, quando deve chiamare le bambine, preparare la colazione, farle…

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    La soffitta

    Camminavo sulla riva della Senna. Eri distratta – mi disse poi -, toccavi il dorso dei libri impolverati sui banchi dei robivecchi, sistemavi una ciocca di capelli sfuggita al cappellino e ti fermavi a guardare dal parapetto cosa ci fosse giù. Non c’eri per nessuno, solo per te.  Lui seguiva il mio profilo con le dita sporche di viola e di blu, la pelle che odorava di acquaragia mentre lo baciavo. Eravamo già nella soffitta. Eravamo già Anne e Lucienne. Cacciata dalla casa del padre, dalle preghiere, dal collegio e dalle ragazze per bene. Era accaduto in fretta: la lite furibonda, lo schiaffo, la maledizione di mia madre. Rimaneva una…