racconti

centro commerciale

Scrivo nelle ore di luce e nei punti silenziosi della casa. Mi sveglio a intervalli regolari nella notte: riconsidero le scene, nella testa le stravolgo. Sul letto appunto le modifiche tra una sveglia del cellulare e l’altra. La storia sovrasta i discorsi del mattino, oscura la vita intorno.

Nelle fasi più impegnative, la scrittura rende spettri. 

Riparto o non riparto?, sono tormentato. 

Voglio casa mia perché non so scrivere altrove, mia madre ne è mortificata. Tutto trama contro adesso, anche il modem: s’è spento e non s’accende più. 

Riparto o non riparto?, sono dilaniato. 

Mamma non demorde. Una luminescenza abbaglia il cielo come un presagio indecifrabile: è in quel momento che ci mettiamo in macchina. 

Auto ammassate sfogano nel traffico hit estive insostenibili e i volti negli abitacoli ridono ridono ridono, solo quello sanno fare. 

Mamma al volante punta un enorme, ragnatelico centro commerciale: non ha nemmeno asciugato i capelli pur di fare in tempo per il modem nuovo. Un festival blocca l’accesso principale e sulle vie secondarie la Micra è una speranza che barcolla. Scoviamo un parcheggio sbilenco e una cappa nera sovrasta il cielo, adesso.

Nevrotiche porte automatiche ci catturano e la musica ci perseguita anche all’interno. Coppie sudate ciondolano reggendo tra le mani cibo unto e confezioni regalo accecanti, proseguono a passo svogliato come se non avessero il tempo alle calcagna: come se avessero già raggiunto una condizione di pace o di mummificazione.

Mamma mi precede. Indossa un vestito rosso deformato dalla foga e trascina la gamba destra sul pavimento bagnato attratta da un corridoio luminoso: ha trovato il centro Vodafone. Una ragazzona sorridente le dà appuntamento per il giorno successivo, qui stanno chiudendo. Mamma mi guarda e le si spezza il cuore. La delusione spegne i suoi occhi e la rende umana. Un dolore nero germoglia nel mio stomaco, si ramifica nella gola, mi soffoca. Tossisco per respirare. 

Uno specchio inquadra l’uomo peggiore del centro commerciale o del mondo intero e quell’uomo sono io. 

Con la testa china raggiungiamo l’uscita, nessuno parla. Le ombre nella macchina nascondono le mie lacrime quando le chiedo della gamba destra: le dà noia da trent’anni e me ne sto accorgendo solo adesso. Le guardo i capelli che scolano sul volto segnato a lutto. La strada è una veglia funebre e la Micra punta la notte e i miei fantasmi. Mamma chiede se a casa può cucinarmi cose buone e poi di non partire perché domani la risolviamo e, in questo punto imprecisato della città, sento tutto l’amore che ha ancora per me. 

Daniele Scalese

Editing di Silvia Rodinò