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Pedagni a mare
Mi sono impelagata in una bella impresa, penso. Dove bella fa il doppio gioco e in base a come mi sento significa prima che l’impresa è bella e poi che è difficile, o l’opposto; oppure mi dice soltanto che l’impresa è proprio un casino e come mi è venuto in mente. Mi è venuto in mente che per quanto difficilissimo penso sia necessario provarci. Mi è venuto in mente che non provarci solo perché l’appiattimento da iperconnessione ipermedia ipersocial è ormai incontrollato non è una buona ragione e non ne trovo una abbastanza valida per non rischiare. Eppure è vero, tremendamente vero: tutti in piattaforma siamo scrittori, tutti siamo poeti,…
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Assunta e Zeffira
Come molti bambini italiani ho avuto due nonne di cui, per fortuna, non porto i nomi: Zeffira e Assunta. Per quanto provi a ricordare, mi tornano alla mente solo le differenze fra di loro. Le stesse che, ai miei occhi di bambina, le caratterizzavano come dee mitologiche oppure inarrivabili esseri ibridi. Zeffira era sempre la più elegante quando mi aspettava all’uscita di scuola. Piccola e magra, profumava come una signora. Non mi sorrideva mai davanti a tutti e non mi dava baci, in compenso mi sistemava i capelli e i vestiti. A denti stretti, mi diceva – Dritta con la schiena! Quando camminavamo in paese, salutava pure le signore che…
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Il talismano (sei gradi di separazione)
Ero regina in un’epoca remota, avevo un talismano – pietre preziose incastonate in una collana di bronzo, fuso con una tecnica tanto nuova da dare il nome alla nostra età –, attirava su di me fortuna, amore, potere, ricchezza e prosperità per il mio popolo, faceva crescere il grano, favoriva la caccia, e io ero venerata come una divinità, la dea della rinascita, sedevo sul trono da molte primavere e ogni anno si compiva il miracolo, ogni volta ringraziavo il talismano con un rito magico che lo potenziava, così ordinai che me lo lasciassero addosso una volta giunto il tempo della mia sepoltura, nella speranza che riuscisse a far rinascere…
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Verso mezzogiorno
Passa da me. Vorrei salutarti. Messaggi da papà. Il vetro si è illuminato: flash di una macchina fotografica – ho fatto appena in tempo a leggere. Sul computer si sta concludendo un film d’epoca, avanguardia démodé. Nel finale, un uomo schiaffeggia un suo amico perché si è presentato senza abito al suo matrimonio – la telecamera segue la traiettoria della mano come se ci fosse attaccata. Termina col buio, obbiettivo coperto dalla guancia dell’inetto. Mentre i titoli di coda strisciano dal basso verso l’alto sullo schermo nero, lo sposo bestemmia. Stronzo, scostumato, gli dice. Dopo mezz’ora il telefono vibra di nuovo. Potresti venire per pranzo. L’ultima volta che sono andato…