editoriale

Giugno, i miei sogni esclusivi

Giugno è il mio mese.

Ho scritto qualche minuto fa sul mio taccuino. Poi, invece di motivare la mia affermazione, ho concentrato l’attenzione su un dettaglio. Ho preso quindi il vocabolario e ho cercato mio.

Aggettivo e pronome possessivo. Indica “proprietà, possesso” sia nel significato giuridico del termine [seguono una serie di esempi], sia nel valore molto più ampio di “appartenenza” o “relazione” tanto dal punto di vista fisico o morale [altri esempi] quanto dal punto di vista affettivo […]; nello specifico quest’ultimo è riscontrabile in alcuni costrutti in cui a prima vista sembrerebbe superfluo e che denotano “attaccamento” o “consuetudine”. Oltre al valore di aggettivo può avere anche il valore di pronome o di sostantivo quando il nome precedentemente espresso non è ripetuto o quando il sostantivo è ovviamente sottinteso. 

Non che avessi dimenticato il suo significato grammaticale ma volevo rintracciare, nella versione ufficiale, un qualche elemento della mia – più arbitraria – accezione che gli attribuisco. Nel mio idioma, infatti, il termine mio è riconducibile ai soli rapporti e non agli oggetti [di cui mi interessa il giusto] e indica – o sarebbe meglio dire: intendo – un’assoluta esclusività, al limite del dittatoriale. In altre parole: il mio mio è un: voglio esserci solo io per l’altro. 

E questo è un grosso problema. 

Forse più di uno.

Tanto per cominciare non sono sola. Devo fare i conti con più di sette miliardi di “altri” che, per svariate motivazioni possono arrivare – ovviamente non tutti – a intrecciare rapporti che raggiungono il mio altro e anche me. [Dopotutto siamo animali sociali, lo dice la biologia.] A questo punto, segue la competizione, il voler primeggiare tra tanti: una lotta al massacro [sfiancante e priva di senso]. E qui potrei fermarmi: mi sembra chiaro che le relazioni della nostra vita non hanno un uguale livello di intimità e complicità [di nuovo, la bellezza della diversità biologica], ma ho deciso comunque di volermi superare e di procedere in questa specie di autopsicanalisi: e se questa smania di esclusività venisse pretesa da me proprio per volere dei miei altri? O ancora, come obiettare sulla questione che l’altro [meno male] non è me e non può fare – e sapere – con imperscrutabile certezza quello che io desidero e come lo desidero? 

Siamo quindi tutti d’accordo che essere importanti per l’altro è una cosa bella, che fa star bene e che invece i comportamenti possessivi danneggiano il rapporto e, cosa forse più grave, abbattono la personalità che vive un simile disagio. [Me, per esempio.] Come pure potrei aggiungere che i punti qui sopra potrebbero anche avere una valenza positiva se vissuti correttamente. Se pensiamo all’altro come a una ricchezza o se, ancora, al posto di “altro”, imparassimo a sostituirlo con “me”. 

Voglio esserci io per me. 

Anche questa è una bella frase, e anche questa potrebbe risultare negativa se messa su un piano egocentrico ed egoistico. La vita è tutta così: appesa a un funambolico equilibrio. 

Tranne nei sogni.

Nei sogni ci sono solo io a guidare ogni cosa, a concedermi tutto: essere sola, la prima e l’unica per un solo altro. Posso anche essere brutale e debole. Sentirmi intimidita e cagarmi addosso oppure essere un’eroina del tutto e del nulla. O ancora, nei sogni, posso starmene seduta su un monte a contemplare un cielo fucsia che ha le linee di un volto che si riflettono nell’acqua – ai piedi della montagna – su cui galleggia una piccola barca. E come dentro un loop poi quel cielo vira sull’azzurro e il profilo nell’acqua diventa un volto di donna e la luna, che nel frattempo ha fatto capolino, alterna in sincronia, tutte le sue fasi. Poi lo sfondo cambia ancora: nuvole bianche, rosa, celesti viaggiano all’orizzonte e trasportano immagini di case, coppie felici, sorrisi, famiglie. È una mano che gira una manopola di un cannone a far esplodere questi cumulonembi. 

Mi sveglio di soprassalto. 

Devo essermi addormentata durante la mia, un po’ ripetitiva e sentimentale – mio malgrado devo ammetterlo – disamina sull’esclusività dei rapporti. 

Con una riga netta, precisa, nera, cancello ciò che avevo scritto e sotto aggiungo:

Giugno, i miei sogni esclusivi.