racconti

Oltre la finestra

Mi risvegliai in piena notte, con la sensazione di averla persa. 

Rotolai fino al bordo del letto e mi misi a sedere piantando i piedi sulle mattonelle. Erano fredde. 

Scivolai verso la finestra facendo attenzione a non inciampare sui vestiti sparsi per la stanza. Scostai la tenda e mi piegai in avanti fino a toccare il vetro con il naso nel tentativo di scorgerla tra le piccole goccioline di rugiada che danzavano sospese nell’aria. 

Ripresi fiato quando la vidi oltre il prato ammantato di erbacce, ritta sul fusto ricoperto di foglie. Era cresciuta. L’avevo annaffiata per mesi con lacrime e speranze, e adesso mi stava ripagando. 

Tornai a letto. Lui dormiva ancora, avvolto tra le lenzuola di seta blu che ci aveva regalato mia zia per il terzo anniversario di matrimonio. Farfugliò qualcosa, poi si voltò verso di me ed emise un piccolo sbuffo. Il suo petto premeva contro la canottiera bianca sporca di sugo.

Quanto sembrava fragile in quel momento. 

***

Mia madre si presentò con un cesto di fiori di zucca appena raccolti e una bottiglia di liquore al cioccolato fatto in casa. 

– Ti trovo bene – arricciò le labbra: lo faceva sempre quando mentiva. 

Preparai il caffè e ci accomodammo sul divano del salone, una accanto all’altra. 

– Lui non c’è? – chiese.

Scossi la testa. Sembrò sollevata. 

– Ho sentito zia Rosa. Sai che Marzia è riuscita a entrare alla facoltà di medicina? Ha sempre avuto una grande testa quella ragazza!

Iniziò a giochicchiare passando l’indice sul bordo della tazzina, poi la posò sul tavolino di vetro accanto alla lampada. 

– È molto dispiaciuta di non esserti potuta stare accanto dopo… – lasciò cadere la frase nel vuoto. 

Un’ondata di calore mi inondò prima le gambe, poi tutto il corpo. Sbottonai la vestaglia fino ai seni: mi sentivo soffocare. Lei sbarrò gli occhi quando vide il livido blu che si spandeva dal collo fino alla scapola.

– Elena… di nuovo.

Abbassai lo sguardo. 

– È stato un incidente.

Mi afferrò il volto con entrambe le mani. Sentivo le sue unghie affondarmi nella carne. 

– Come fai a stare insieme a quell’animale dopo quello che vi ha fatto?

Portai istintivamente la mano destra sul ventre. Mi divincolai rovesciando la tazzina sul tappeto. 

– Cazzo! – urlai.

Scattai in piedi e corsi verso il ripostiglio, poi mi piegai sul tappeto e iniziai a strofinare con tutta la rabbia che avevo in corpo. 

***

Mi capita spesso di fantasticare su di lei. 

In genere succede poco prima dell’alba, quando notte e giorno si confondono e tutto sembra ancora possibile. 

Scendo in cucina, mi siedo sulla sedia di fronte al davanzale ed eccola lì, sul prato davanti casa, impegnata a inseguire lo scintillio di una lucciola. Immagino i suoi lunghi capelli biondi ondeggiare sulle spalle lasciate indifese da un vestitino celeste a pois gialli. Ogni tanto i nostri sguardi si incrociano, lei sorride mostrando i denti, mi manda un bacio e ricomincia a giocare. Ha gli occhi verdi di sua nonna. Sembra così reale… 

Poi si dissolve lentamente, inghiottita dai primi raggi del nuovo giorno. Allora esco di casa e mi siedo accanto alla mia pianta. Passo il dito tra le scanalature delle foglie, delicatamente, come se potessero sanguinare da un momento all’altro. A volte mi sdraio sul terriccio umido, chiudo gli occhi e guardo le campanule viola pendere sopra la mia testa. 

Poi rientro e aspetto che lui si svegli. 

***

Le assi di legno scricchiolavano mentre scendeva le scale diretto verso il bagno. 

Spensi il fornello e il bollitore sbuffò le ultime nuvole di vapore. Adagiai le foglie essiccate sul fondo della tazza prima di versarci l’acqua e attendere che si colorasse. 

Lui arrivò qualche istante dopo. Lo seguii con lo sguardo mentre superava la soglia della cucina trascinando i piedi avvolti nelle ciabatte di pelle scolorita che gli avevo regalato per Natale. Continuava a grattarsi la barba con una mano e la pancia con l’altra, come un orso appena uscito dal letargo. 

Mi guardò come se fossi una mensola, poi afferrò la sedia e la spostò all’indietro facendola stridere. Odiavo quel suono, più della sua presenza. 

– Ho preparato anche del tè. – Gli dissi con un filo di voce.

Mi tirò una pacca sul sedere. 

– Allora non sei del tutto inutile. 

Scoppiò a ridere. E ridere. E ridere. 

Attesi che terminasse di bere il caffè, poi gli servii il tè. Lo sorseggiò con gusto, alternandolo a qualche morso di pancake ai frutti di bosco. Quando ebbe finito, si alzò, fece qualche passo in avanti prima di cadere a terra e contorcersi e gridare e tremare senza sosta. Stava soffrendo. Strisciò verso la mia gamba e l’artigliò per un istante, poi mollò la presa e si accasciò nuovamente sbattendo la tempia destra sulle piastrelle. Un rivolo di sangue schizzò sul pavimento creando delle piccole chiazze dai bordi irregolari che si spandevano come lava incandescente. 

Mi voltai verso la finestra e sorrisi quando vidi la mia meravigliosa pianta di belladonna protrarsi lentamente verso il cielo limpido dell’estate. 

Era assetata di luce, proprio come me.

Alexandro Lupis

Editing di Greta Salvetti