
Lettere minuscole
È notte e a bordo di un tram stanco riempio il foglio di lettere minuscole. Scrivo e mi ripeto che sono solo lettere minuscole e troppo rumore non possono fare. Lontano da qui, in un’altra casa, sotto altre coperte, con un’altra donna, tu dormi e io non ti voglio svegliare. E allora scrivo e uso solo lettere minuscole che neonate stanno lì, su un seggiolone, e mi guardano con occhi sgranati e battono forte le mani, che le labbra hanno bisogno di aiuto per parlare, che le labbra hanno bisogno di aiuto per raccontare.
È notte e sulla strada di casa inquino l’aria di lettere minuscole. Le faccio uscire una alla volta da una bocca impastata e le riverso su un mare di lana che copre e che scalda e nasconde al vicino la cantilena che da ieri mi faccio bastare: che è andata così e non c’è niente da fare, che è andata così e devo solo imparare.
È notte e al tavolo della cucina mischio briciole con lettere minuscole. Distratta le guardo comporre il racconto di un noi ridotto a pezzetti, che se le cose non funzionavano prima, un altro non le può aggiustare, né il tempo le può sistemare. È notte e davanti a un piatto vuoto assembro granelli di lettere minuscole e prego che si perdano tra le righe di storie più lunghe e che si sporchino del sapore di storie più belle, che il cuore ha bisogno di parole per ricordare e la testa di parole per dimenticare. È notte e allora confesso che le cose se le dici di giorno diventano vere, diventano oggetti, e gli oggetti prendono un posto, e gli oggetti tolgono un posto, e tu di spazio ne hai preso abbastanza, e tu di spazio ne hai tolto abbastanza.
È notte e da un bicchiere di plastica bevo litri di lettere minuscole, che sono acqua, acqua insipida, acqua torbida, acqua calda, acqua che dà fastidio e non disseta, acqua che non colora e che si confonde, perché sopravvivere è già qualcosa, perché sopravvivere è già vittoria.
È notte e sulla tastiera di un computer sporco premo file di lettere minuscole, che se impugnassi una penna dovrei forzare la mano, che se impugnassi una penna dovrei sentire il dolore. E allora schiaccio pulsanti sordi, e allora spremo pulsanti neri, e riempio il tuo vuoto con il rumore delle dita che un tempo ti cercavano, che il silenzio è pesante e non lo voglio ascoltare, che il silenzio è presente e lo voglio colmare. Scrivo e cancello che il testo non funziona, che tanto non importa, che tu non vuoi più sentirmi, che tu non vuoi più abbracciarmi. E allora mi fermo e a una a una guardo lettere minuscole sparire dal foglio, che ogni giorno ho fatto qualcosa di sbagliato, che ogni giorno hai detto qualcosa d’insensato.
È notte e le lettere minuscole sono dappertutto. Stanno sulle labbra e tra le dita, e riempiono pezzi di schermo e angoli di letto. È notte e lettere minuscole continuano a uscire dalla bocca bisbigliate. Dalla bocca disperate. E parlo a un letto freddo, e parlo a un muro bianco, che io per te sono solo una lettera minuscola, un pezzo d’alfabeto senza senso, nasco e muoio in un sussurro, che la frase è già finita, che la frase è già iniziata.
Ilaria Grando
Editing di Silvia Penso


