racconti

Ray of light

Sono fortunata ad aver trovato lavoro qui. Da quando papà ha avuto un incidente in cantiere, le cose a casa hanno iniziato a peggiorare. Deve essere operato alla gamba destra. E a lui è andata bene. Per il suo collega Martin la caduta dal ponteggio è stata fatale. Mamma era disperata, non sapeva cosa fare. Ha sempre cucinato torte da vendere alla pasticceria in centro per arrotondare, come avrebbe potuto sostenere le spese per l’operazione e mantenere la famiglia? Mia sorella minore, Gwendaline, avrebbe dovuto rinunciare al college: questo mamma non l’avrebbe mai permesso. 

È grazie a Liv se sono qui: lavoravamo insieme in una tintoria dei sobborghi, poi lei si è licenziata perché le avevano proposto un’occupazione più remunerativa e meno sfiancante. Dopo qualche settimana mi ha chiesto se volessi cambiare lavoro e seguirla. Una paga maggiore, la possibilità di lavorare seduta a un tavolo invece che stare tutto il tempo in piedi. Basta mal di schiena e mani bruciate dall’acqua bollente! Non mi sembrava vero, ho detto subito sì.

Siamo un gruppo affiatato, nel mio reparto abbiamo più o meno tutte la stessa età. Facciamo orologi. O meglio, li decoriamo. Bisogna essere molto precise, la vernice è preziosa e serve a vedere i numeri al buio. Non bisogna fare sbavature, altrimenti il quadrante è inutilizzabile. Un trucco per migliorare la stesura del colore è umettare il pennello con la punta della lingua: molto meglio dell’acqua che lo diluirebbe troppo. Gli orologi sono per i soldati dell’Esercito e questo ci rende orgogliose: è bello poter contribuire agli sforzi che i ragazzi fanno per il bene della Nazione. Anche il fratello di Liv, Richie, è nell’Esercito. Quando dipingo penso a lui. Non solo quando dipingo, a dire il vero. Liv sa che ne sono innamorata e dice che nei giorni in cui tornerà a casa in licenza, organizzerà un’uscita a quattro assieme a John, il suo ragazzo. Ogni volta che ne parla si avvolge una ciocca di capelli dorati attorno al dito e assume un’aria sognante. Continua a ripetere che sarebbe felice se un giorno diventassi sua cognata. Poi mi ammonisce dicendomi di non farle un nipotino con il naso del fratello ma con il suo, grazioso e all’insù: allora scoppiamo a ridere. Voglio bene a Liv e le sarò sempre riconoscente per questa opportunità: al primo stipendio potremo prenotare l’operazione di papà. Non posso essere più contenta di così.

O forse sì… Sulla strada verso l’officina, c’è una vecchia casa, ha dimensioni modeste ma è ben tenuta, con il tetto di coppi scarlatti e un glicine bianco che si arrampica fino a sfiorare le finestre del primo piano. Quando ci passo davanti, mi immagino indaffarata a spazzare l’ingresso di mattoni lucidi o a stendere i panni nel cortile attiguo. Altre volte invece sono alle prese con la preparazione della cena nella cucina e cerco di indovinare chi c’è al di là delle persiane, al piano terra, e intanto aspetto Richie e i bambini giocano al piano superiore. Chissà, magari un giorno… 

I nostri orologi hanno molto successo, ci sono nuove commesse in azienda. L’altro giorno il nostro capo, un uomo di mezza età, allampanato, con una calvizie incipiente che lascia spazio a una fronte lentigginosa, ha distribuito il premio di produzione congratulandosi con tutte noi. Alla fine del turno sono corsa a casa e ho detto a Gwendaline di fare subito domanda per il college. Lei mi ha abbracciata forte. Affondando il volto nelle sue trecce corvine, ho pensato che mi mancherà il tenue profumo di mughetto dei suoi capelli, quando lei sarà partita e non sarà più con noi. 

Papà sta meglio, l’operazione è andata bene. I dottori si sono detti ottimisti: probabilmente riacquisterà l’uso della gamba. Mamma non fa che ringraziare il cielo perché le cose si sono sistemate. Gwendaline ci manda una cartolina a settimana. Racconta che studia sodo e che si sta facendo molti amici. Richie tornerà il mese prossimo e Liv sta già scegliendo il vestito da indossare per il nostro incontro. Al lavoro i ritmi sono frenetici e forse è per questo che mi sento sempre stanca. Ho spesso mal di denti e non capisco perché. Liv dice di non pensarci troppo, e intanto, come facciamo tutte, senza farsi vedere dal capo, si passa la vernice sulle unghie come fosse smalto: quando farà buio le sue mani brilleranno di una candida luce fosforescente variegata d’azzurro, così elegante, così moderna.

Oggi non posso presentarmi al lavoro, mi sento male. So che anche altre mie colleghe ultimamente hanno avuto problemi: che sia un’influenza? Qualcuna avverte dolori alle gambe, altre alle braccia. Alcune hanno strani sfoghi sulla pelle. Io continuo ad avere mal di denti ma non vedo nessuna carie. Il capo mi ha tranquillizzato assicurandomi che manderà il medico incaricato dalla ditta. Quale altro titolare ha così tante premure nei confronti dei propri dipendenti? 

Alle quattro del pomeriggio hanno suonato alla porta. La mamma, con indosso il suo vestito migliore per non sfigurare, è andata ad aprire al dottore. Lui mi ha visitata a lungo e alla fine ha detto con voce rassicurante che probabilmente si tratta di un periodo di stress in concomitanza con il cambio di stagione. Mi ha prescritto una soluzione di acqua distillata al radio. È un nuovo farmaco che producono in un’industria qui vicino e dicono sia un rimedio efficace per tanti malanni. Mamma, con aria sollevata, ha offerto al dottore una fetta di torta alle mele appena sfornata. Lui ha ringraziato declinando l’invito con gentilezza e spiegando di aver fretta perché altre mie colleghe lo stavano aspettando per le visite.

Ho perso sei giorni di lavoro. Quando Liv è venuta a trovarmi a casa, alla fine del turno, mi ha portato un mazzolino di margherite e una rivista femminile. Ho fatto fatica a issarmi sui cuscini per sedermi e mi sono scusata per questo con Liv. Lei ha detto di non impensierirmi. Si è seduta sul letto vicino a me e ha iniziato a sfogliare il giornale passando in rassegna una a una le foto di bellissimi vestiti. 

– Pensa a prendere le medicine così ti rimetti in forma: presto Richie sarà a casa e tu devi essere splendida. Quale abito ci facciamo cucire da mia mamma? 

Sto per rispondere a Liv ma un fiotto di sangue mi cola dalle labbra. Liv si sfila in fretta il foulard rosa che le adorna il collo e cerca di tamponarmi la bocca. Mi aiuta ad andare in bagno e mentre mi appoggio alla ceramica bianca del lavandino, lei apre il rubinetto. Lo specchio mi restituisce la mia immagine, il volto deperito e gli occhi spenti. Non sono più io. Quando guardo nel foulard, ci trovo dentro due denti.

Mamma, papà, Gwendaline e pure Liv sono tutti attorno a me. Piangono. Vorrei consolarli ma non riesco a farmi sentire. Non capisco: cos’è successo? Eppure il medico aveva detto che non era nulla. Tutto quello che rimane di me è una candida luce fosforescente variegata d’azzurro. Così elegante, così moderna. Così eterna.

Ottavia Marchiori

Editing di Silvia Penso