
Rumori di fondo
Ogni tanto mi sto sui coglioni.
Succede a tutti, anche se io, per la maggior parte del tempo, sono molto indulgente con me stesso.
Quando faccio qualche cazzata sono sempre pronto a inventare una scusante. Ma a volte non ci riesco.
A volte capita che sia stanco, non preparato o che quello che ho combinato sia particolarmente grave e mi dico:
– Max, questa volta hai veramente fatto una cazzata, sei proprio un coglione.
Quando capita, mi piace pronunciare la frase urlando come se litigassi con qualcuno.
Molto soddisfacente.
Resisto alla tentazione di gesti autolesionisti. I tagli e i lividi devono essere giustificati, sono evidenti, rimangono nel tempo. Magari un bel giorno ti togli la maglia in spiaggia ed ecco che l’amica di turno punta il dito sui tagli e dice: “e qui cosa ti sei fatto?” e tu resti un attimo senza sapere come rispondere. Un bel vaffanculo invece non lascia traccia.
Non sto dicendo che la cosa della spiaggia sia successa a me.
Ma magari sarebbe potuta succedere a qualcuno, non a me intendiamoci.
Non a me e comunque non di recente.
Gli altri mi aspettano di là. Sento il vociare, sento la televisione altissima, rumori di fondo.
Quanto stavo bene da solo, quanto sto bene da solo.
Ho più di trenta persone che pensano di essere mie amiche, alcune di queste sono nell’altra stanza, ma io non ho amici. Non ne ho bisogno, l’amicizia è una rottura di palle. Quando diventi amico di qualcuno, quello ti racconta i suoi problemi e si aspetta che tu faccia altrettanto. Ma io di problemi non ne ho, che ci posso fare? Io mi accontento, mi piace accontentarmi.
La mia vita era perfetta: vivevo da solo in un appartamento in centro, la sera finivo di lavorare, tornavo a casa e c’era solo il silenzio. Meraviglioso.
Accendevo la mia playstation e giocavo o mi connettevo a qualche canale via cavo, nel frattempo cucinavo e intanto mi raccontavo qualcosa della giornata oppure ripetevo qualche dialogo avvenuto a lavoro in maniera che fosse per me più soddisfacente.
Potevo anche parlare a voce alta, tanto chi c’era a giudicare? Nessuno. Quanto mi piaceva stare da solo, ma dovevo rovinare tutto.
La compagnia delle altre persone è sempre stato un peso per me. Mi piace stare da solo, parlare con me stesso, giocare ai videogiochi, gli altri non li ho mai capiti e nemmeno mi è mai interessato capirli. Ho avuto qualche ragazza, più che altro perché dovevo averla, per non passare per quello “strano”. Gli strani sono evitati, e questo è un lato positivo, ma spesso finiscono per essere perseguitati, e questo non è ciò che voglio.
Il sesso è interessante, ma alla lunga anche quello mi viene a noia. Più che altro perché circondato da un mare di attività non soddisfacenti: la vita di coppia è un sacrificio perenne dei nostri desideri e una continua mediazione con l’altro, a cominciare da quello che si deve fare la sera o nel tempo libero. Io voglio stare seduto e giocare, possibilmente in silenzio.
Dall’altra parte un fiume di parole, feste, incontri, eventi, e noia allo stato solido.
Meglio soli. Meglio una sega ogni tanto. Certo, potrei andare con qualcuna a pagamento, ma sono un cagasotto. Normalmente non mi darei del cagasotto, ma il termine è corretto: ho paura delle malattie, ho paura di essere beccato dalla polizia con le braghe calate, ho paura che mi possano derubare. Quindi nulla, meglio un bel video su internet, un fazzoletto e, dopo, una bella partita a qualcosa.
Non ho mai amato i miei genitori, non sono mai stato amato. Vai a letto, studia, corri, mangia, dormi, nella vita ho ricevuto solo ordini, qualche abbraccio, sempre davanti agli altri, e nessun “bravo”. Ma a me stava benissimo così.
Ogni tanto ci sentiamo con i miei, vivono in un’altra città:
– Come stai?
– Bene e voi?
– Bene e Rita? Tutto bene?
– Tutto alla grande, è in palestra, io ho finito prima.
Rita era la mia convivente. Per finta, ovviamente. Solo perché dovevo averne una. Rita è andata via da boh, due o tre anni, dopo qualche mese di convivenza, non mi ricordo le date precise e nemmeno mi interessa.
Ogni tanto mi messaggia e non ne capisco il motivo. Non le ho mai dato nulla, tranne qualche mediocre rapporto sessuale e un tetto sulla testa. Ha resistito fin troppo e io con lei, doveva andare via prima. Ogni tanto mi scrive anche un “come stai?” al quale io non rispondo mai.
Spero non si senta in colpa per qualcosa, perché a me non frega nulla, forse dovrei avvisarla, ma non lo faccio per evitare una telefonata di “appianamento”. Rita voleva sempre “appianare”, in realtà voleva sempre avere ragione, cosa che, per quello che mi riguardava, poteva avere illimitatamente. Non mi interessa avere ragione, prima si conclude la discussione meglio è per me.
Da allora Rita era sempre in palestra, a fare la spesa, in bagno, ma quante cose che faceva questa Rita! Se ci penso ora mi viene quasi da ridere. Quasi, perché c’è gente e ridere da solo non va bene. E poi comunque sono incazzato perché ho rovinato tutto.
Tutto.
L’inizio della rovina è stato in ascensore.
Un bel giorno, prendo l’ascensore al pianterreno per salire al quinto piano ed ecco che si infila dentro la mia vicina. La conosco di vista: capelli rossi, occhi verdi, ha due grossi occhiali da sole, ma fuori non c’è il sole. La guardo e vedo subito il livido sull’occhio sinistro. Lei se ne accorge, fissare le persone è un mio difetto, con il tempo sono migliorato e riesco a controllarmi, ma ho indugiato un secondo di troppo e lei indica l’occhio con un mezzo sorriso e mi fa: – Il pomello della porta, sono caduta purtroppo –, io mentre annuisco mi immagino come un pomello potrebbe strillare “stupida puttana” come ho sentito ieri sera gridare dal suo ragazzo e anche come un pomello potrebbe tirare un bel gancio destro. – Succede… – dico e per me la discussione è chiusa, that’s all folks!
E invece accade qualcosa.
La sua faccia si accartoccia come una buccia di mandarino buttata nel fuoco. Non posso fare a meno di fissarla e quando capisco cosa sta per accadere mi piacerebbe avere il teletrasporto come in Star Trek: “Max a plancia, tiratemi su!”, ma nessuno mi ascolta, o forse non sta per mettersi a piangere a dirotto in ascensore di fronte a me. Forse riusciremo ad arrivare al fottuto quinto piano, le porte si apriranno e io mi precipiterò fuori, ma non sono così fortunato perché quando qualcosa deve andare male, ci va per davvero. Lei scoppia a piangere e non solo, si aggrappa a me tirandomi il soprabito. Con dei singhiozzi così forti che penso che da un momento all’altro si metterà a vomitare ADDOSSO A ME.
Rimango di sasso. La abbraccio, più che altro perché ho paura che cada e ho paura che, se accadesse e si facesse male, io verrei incolpato di qualcosa. Le porte si aprono.
Lei è davanti alle porte, io la sto praticamente tenendo in piedi. Se togliessi le braccia cadrebbe, ma forse potrei adagiarla sul fondo dell’ascensore e correre in casa. Mentre penso a cosa fare la tipa continua a singhiozzare come una matta e… le porte si richiudono!
Provo a mettere un piede per fermarle, ma incontro le gambe della maledetta vicina.
Iniziamo a scendere. Questa continua a piangere disperata e aggrappata a me. Torniamo sotto, mentre io balbetto qualcosa per farla riprendere: – Coraggio, adesso è passata… su… –, cosa diavolo si dice in questi casi? Vorrei solo spingerla via, ma mi manca il coraggio.
Le porte si aprono e mi trovo a fissare la signora con i capelli bianchi del terzo piano e il topo-cane che tiene sempre in braccio. Non so come si chiami, forse il topo-cane si chiama Dino. La signora ci fissa, ma non entra in ascensore. La mia vicina, che finalmente si regge sulle sue gambe, preme subito il tasto 5, così le porte si richiudono in faccia a Dino e alla sua accompagnatrice umana.
– Scusami, penserai che sono una stupida –, mi dice mentre cerca di ricomporsi. Tentativo inutile, il mascara è colato ovunque, anche sul mio cazzo di soprabito, dovrò portarlo in tintoria.
“Non penso tu sia una stupida, penso tu sia completamente pazza”, lo penso ma non lo dico, non rispondo e abbasso lo sguardo. Esce dall’ascensore e io dietro. Il suo appartamento è prima del mio, procedo camminando pianissimo, con la testa bassa sperando che entri, per poi arrivare alla mia isola felice che mi aspetta una porta dopo.
Ma faccio la cazzata.
Perché? Boh, non lo so cosa mi prende a volte.
Forse sono abituato a parlare da solo e ogni tanto mi escono le parole. Forse l’essere così vicino a casa mi ha fatto abbassare la guardia, non so che cosa mi è preso. Ma quando le sono passato dietro la schiena ho parlato a voce alta.
– Dovresti lasciarlo. Prima che ti faccia ancora male.
Lei si è fermata un secondo senza girarsi, mentre io mi mandavo affanculo e imprecavo nella mia testa. Ricordo di aver aperto la porta con le mani che mi tremavano per il nervoso.
E poi dentro mi sono trattenuto, sono andato in bagno con ancora il soprabito addosso, che poi ho buttato via perché era una merda macchiata di roba nera, ho aperto doccia e tutti i rubinetti e ho cominciato a gridarmi contro sino a che non mi sono messo a tossire per il dolore alla gola.
Quella sera non ho giocato, non me lo ero meritato e poi avevo paura, stavo con le orecchie tese ad ascoltare cosa succedeva nell’altro appartamento.
Non mi fregava nulla della vicina.
Avevo paura per me, perché sono un cagasotto. Avevo paura che Mike Tyson venisse informato che io avevo suggerito di lasciarlo e che decidesse di dare un paio di ganci anche a me. Non ho mai fatto a botte con nessuno in 35 anni e volevo non interrompere il record.
Sento discorsi tesi, discussioni con le S sibilanti e poi una porta che sbatte. Alle nove di sera un fabbro viene a cambiare la serratura, brava ragazza.
Fine.
E invece no.
La sera dopo, mentre sono davanti ai videogiochi, suona il campanello. È la mia vicina. Mi abbraccia, mi ringrazia, entra in casa (chi cazzo l’ha invitata a entrare?) si siede sul divano e inizia a raccontare. Guardo il pad della playstation sul divano, spengo gioco e tv con un sospiro. Un grosso sospiro. Un ENORME sospiro e spero che capisca che ha interrotto qualcosa, ma non capisce, è troppo euforica. Ha mollato il suo ragazzo e quello che le ha dato la forza di farlo sono io.
Riderle in faccia non mi sembra il massimo, anche se mi viene, guardo la console spenta e allora mi invento un gioco per passare la serata: “ascolta la vicina”, e così fingo che mi interessi quello che ha da raccontarmi, annuisco quando è il caso, pongo domande con interesse, commento quando mi sembra opportuno.
– Che stronzo!
– E ora che farai?
– Hai fatto benissimo!
E dopo, quando esce, è troppo tardi per giocare. Quindi vado a dormire, pensando di recuperare l’indomani.
E invece no, perché lei torna la sera seguente. E quella dopo ancora, e ancora quella dopo per cinque giorni, e il quinto giorno porta anche la cena e pretende di lavare e ritirare i piatti. Per cortesia le lascio fare tutto, dopo rimetterò a posto, ma non ne posso più: “ascolta la vicina” mi ha stufato, voglio giocare, voglio stare da solo, possibile che questa tipa non abbia amici con i quali parlare?
Ci sediamo sul divano, mi accorgo che sul pad si è formata della polvere, Dio mio! Della polvere! E allora le prendo la mano, devo dirle di non venire più, senza ferirla o creare un problema per me in futuro.
Ma lei mi bacia.
E il gioco “ascolta la tua vicina” si trasforma in “scopa la tua vicina”: decisamente più interessante.
– Max tutto bene? Ah, l’hai trovato!
La voce di Anna mi fa sobbalzare. Chissà quando da “la mia vicina” è passata a essere Anna. Forse quando ci siamo messi insieme, qualche giorno dopo la nostra prima notte di sesso.
– Anna!
Nella mano destra stringo il coltello da torta che sono venuto a prendere in cucina. Le mie nocche sono bianche. Sul tavolo la mano sinistra è appoggiata e spalancata. Pronta per essere punita. Ma non posso, non davanti ad Anna e poi ho paura delle conseguenze. Paura di non poter più giocare.
Sono insieme ad Anna da 5 mesi. Lei ha parlato anche con i miei genitori una volta, ha detto che sono stati carinissimi, anche se l’hanno chiamata Rita per tutto il tempo.
Mi ha fatto conoscere i suoi amici, e ogni tanto si siede sul divano e mi guarda giocare, in silenzio, ma io non riesco a concentrarmi, vorrei essere solo e spero che lei si stanchi di me come le altre e se ne vada.
Ma ancora non è successo, ora va dallo psicologo ed è tutto un “i miei spazi”, “discontinuità” e altre cazzate che spero la allontanino da me, dalla mia vita e dal mio appartamento così come tutti i suoi amici.
Ed eccomi qua, in un incubo perfetto, torniamo nell’altra stanza, piena di sconosciuti e io non mi sono mai sentito fuori posto come ora.
– Ragazzi preparate i panettoni! Abbiamo trovato il coltello!
Tutti sorridono felici mentre il cretino in tv fa il conto alla rovescia: “dieci, nove, otto…”
Di fianco alla TV la mia console piange, o almeno io sento questo. Piange come Anna quella volta in ascensore. Ma io sto facendo un altro gioco: “divertirsi a una festa” e in questo gioco nessuno deve accorgersi che io preferirei essere in una bara sepolto sotto terra che qui e ora.
– Tre, due, uno! Buon Anno!
Si stappano le bottiglie, risate, botti di capodanno all’esterno, mentre Anna mi si avvicina all’orecchio:
– Ti amo.
Rumori di fondo.
Davide Murmora
Editing di Greta Salvetti

