
Peccati veniali
Credo di essere diventata una donna noiosa.
Per colpa della mancanza di tempo, ho nutrito una vocazione per l’indifferenza: l’attuale triste capitolo della mia vita.
L’iniziazione venne sancita quando fui assunta a tempo indeterminato con un ruolo di responsabilità. Un’occasione che avevo atteso e che accolsi oltremodo come una conquista più unica che rara. Prima di questo lavoro, lamentavo una certa inquietudine: mi sentivo come un cane smarrito e, anche se pensavo di averci guadagnato, non mi rendevo ancora conto di quanto quell’occupazione avesse paralizzato tutto il resto attorno a me e che mi stavo trasformando in qualcos’altro.
Quel giorno, quando m’imbattei nel signor Ettore, avevo gli occhi spiritati e, senza accorgermene, iniziai a considerare qualcosa di assolutamente non previsto, che avevo dimenticato. La magra e distinta figura di quell’uomo, i suoi gesti fluttuanti, il suo sguardo incantato, di attonita meraviglia al cospetto della realtà che lo circondava, mi sorprese; vinse sulle mie furie disorientandomi.
Oggi ancora, quando mi fermo a pensarci, trovo che tutto, quel giorno, convergesse inspiegabilmente nel punto dove mi trovavo: lo slargo antistante al bar, con il selciato che crocchiava, ancora umido, sotto le suole dei passanti, e l’uomo ed io.
Era un mattino come tanti, assolato e la luce del giorno inseguiva le ombre sulle facciate dei palazzi, tuffandosi dai piani più alti. Le strade, che spaccavano in due ogni edificio, sembravano convergere in quella prospettiva dove io ero il punto di fuga.
Quando incrociai lo sguardo dell’uomo, qualcuno pronunciò un nome a voce alta:
– Ettore, il suo caffè è pronto!
È così che seppi come si chiamava quel curioso sconosciuto che riuscì a distrarmi da me stessa. Ettore stava comodamente seduto ad assaporare, sorso dopo sorso, il suo caffè, senza il timore di oziare e perdere tempo; voltandosi verso di me, assumendo un’aria di compiacimento a volere intendere cose di poco conto e perdonabili, disse:
– Piccoli peccati veniali
L’uomo credeva di avermi convinta a fargli compagnia, trattenendomi amichevolmente la mano, ma io, che invece non fui affatto indulgente, lo salutai di fretta, con l’illusione di non aver perso un vantaggio, quel mattino, a non restare.
Il giorno dopo lo incontrai di nuovo, sempre allo stesso tavolo.
Dovetti riconoscerlo a me stessa: malgrado lo giudicassi severamente rispetto ai miei bisogni urgenti, la sua caparbietà di cultore del tempo sprecato m’incuriosiva parecchio.
– Perché non si ferma oggi…, mi disse dopo aver risposto al suo saluto, ma Ettore non ebbe il tempo di pronunciare altro perché io non glielo permisi. Intenta a impegnare ogni attimo della giornata, mi congedai alla spicciolata lasciando quell’uomo infruttuoso alle spalle. Prima di voltare l’angolo un bisogno irresistibile mi costrinse a osservarlo per un attimo: Ettore restava sempre lì seduto, quasi occupasse quel posto di diritto.
L’indomani, svegliata alla solita ora, mi preparai per arrivare in leggero anticipo a lavoro; malgrado tutto, volli passare prima dal bar. Ero come attratta da una calamita perché non smettevo di pensare a quell’uomo e la curiosità mi spingeva a indagare. Proprio mentre sentivo il mio affanno farsi incombente, avvicinandomi più velocemente che potevo, notai che Ettore non era lì, seduto al suo solito posto, e nessuno lo aveva visto. Mi sentii una stupida perché a causa di quella sosta inutile, tardai anche a lavoro.
Tornai ancora, ma di lui neanche l’ombra.
Un mattino però, mentre ero in piedi a sorseggiare il mio caffè bollente, lo rividi così presto che il selciato della piazzetta era ancora bagnato.
– Buongiorno signor Ettore, urlai quando mi passò di fronte, ma lui voltatosi, per raggiungere la sua sedia e il suo tavolino, non mi riconobbe. Accettai la cosa e, senza replica, mi accomiatai con un saluto inefficace caduto nel silenzio. Tornai tutti i santi giorni che seguirono, anche di sabato e di domenica, ma non mi capitò più di vederlo. Restavo in attesa, mi accomodavo alla sua sedia, ordinavo il mio caffè bollente e con i gomiti sul tavolino ne gustavo lentamente il suo sapore.
Quel “piccoli peccati veniali” continuava a risuonarmi nella testa. Al mattino presto di certi giorni le cose possono apparire diverse da come le osserviamo di solito. Deve essere questo il piacere che si prova a respirare il tempo delle cose inutili.
È questo, mi piace pensare, che Ettore quel giorno voleva dirmi.
Marina Novelli
Editing di Carmen Chirico

