accenti in avvento

Editoriale di Natale

È il 24 dicembre. Oggi, chi non lavora, va in giro a completare gli acquisti per i regali [o, per i pigri dell’ultimo momento, a farli dal principio]. Si compra il pesce al mercato e si trascorrono ore tra fornelli, tegami, pirofile e forno.

È il 24 dicembre, il compleanno di Gesù – non ho trovato altre risposte plausibili al mio quesito di ventitre giorni fa su quale fosse il senso del Natale –, e i compleanni vanno festeggiati, glorificati in grande stile, a maggior ragione se la persona in questione compie duemila e passa anni: non è da tutti l’eternità.

È il 24 dicembre e prima di andare a casa per il cenone che mi aspetta, passo dall’ufficio: voglio guardare, da buona sentimentale quale sono, il percorso di fogli che in questi giorni si è andato riempiendo.

Appena richiusa la porta alle mie spalle, mi privo velocemente di cappotto, borsa e scarpe [nemmeno dovessi prepararmi a un amplesso a lungo desiderato]. Mi avvicino in punta di piedi a quel serpentone che ci siamo inventate, non voglio fare rumore né sgualcire o calpestare niente.

Ed è proprio con il silenzio che prende vita tutto, anche questo nostro – un po’ bizzarro e fuori dagli schemi – calendario dell’avvento. Insieme a Virginia Woolf e un paio di scarpe nel cielo, ci siamo avventurate tra i quartieri – e i portieri – di Roma. In quella grandezza abbiamo riscoperto Arundhati Roy e il valore inestimabile di piccole – immense – cose. Ci siamo trasformate nei nostri sogni portando in sella due violoncelli e abbiamo colonizzato – quasi – tutta l’Italia, quando Milan Kundera ci ha ricordato di come il nostro corpo cambia.

Poi di nuovo in silenzio a Pesaro, abbiamo potuto apprezzare un nuovo capitolo dei book club e, nemmeno un momento dopo, ci siamo ritrovate tra le strade di Roma accompagnate da, nientepopodimeno che Elsa Morante. E poi si sa, una visita e un saluto in carcere sono – forse –  doverosi in prossimità del Natale: ci sono solitudini che vanno allietate. Così, tra un mazzo di fiori sul sedile di un treno e un orsacchiotto nel carrello di un supermercato, siamo piombate nel bel mezzo di un trasloco, ma due personaggi alquanto agli antipodi, Rainer Maria Rilke e Zerocalcare, ci hanno aiutate a comprendere che si cresce e inevitabilmente, anche il nostro corpo cambia e solo in pochi lo accettano.

Ed eccola la fine: sempre in rigoroso silenzio a cercare le soluzioni per un cruciverba, a pretendere di andare avanti pure con scarpe malferme, a perdersi – ancora – in quell’immensità che è Roma, a chiedere a Marcel Proust di darci risposte, a scomodare Antoine-Laurent de Lavoisier perché ci parli ancora di trasformazioni, a interrogare – sempre in silenzio – il rumore e le persone di una galleria in una metropolitana e, infine, parlare con Francesco Spiedo delle nostre ossessioni.

Ai piedi dell’albero, che abbiamo lasciato acceso, ci sono dei pacchetti da scartare.

Cos’è la letteratura? Mi chiedo di nuovo.

Non lo so ancora – come temevo –, ma, dopo tutto questo, inizio a pensare che abbia a che fare con una bugia di qualità.

Sorrido, prendo uno dei fogli del percorso e scrivo:

Mariapaola

Greta

Valentina

Martina

Elena

Carmen

Grazie perché rendete possibile biró.

Buon Natale.

Francesca Gentile