
Lenticchie
Io coltivo ortensie. Blu, rosa, viola. Sono le più belle di Roma, lo dicono tutti.
Da qualche giorno però, mi ritrovo certe sforbiciate strane, manca un fiore per pianta, c’è un buco. Ieri, un postino mi ha detto che al condominio di via Ferrari, Gerardo fa certe ortensie di forme speciali, che sembrano sculture. Allora ho capito: l’idea l’ha presa da me, dalle mie piante intorno alla fontana, orgoglio di tutto il quartiere Prati. Ora è chiaro che l’idea non gli basta più.
Io, Gerardo me lo sono cresciuto come un figlio e gli ho insegnato tutto. Sembra niente, ma per fare i portieri nei condomìni dei signori serve saggezza. E pellaccia. E questo non gliel’ho mai spiegato, ma ho sempre fatto in modo che vedesse, che prendesse con gli occhi, almeno la saggezza. Se rubi con gli occhi non sei un delinquente, sei intelligente, ti prendi le cose senza toglierle agli altri. La pelle, invece, non si può usare quella degli altri: o ce l’hai o non ce l’hai. Gerardo non ce l’ha, e cova una rabbia e un’invidia che se lo portano via. E lo fanno delinquente.
Dice la sora Flora, che fa i servizi dalla Alicanti, terzo piano scala B, che l’hanno visto di notte camminare tra via Ferrari e Piazza Mazzini, arrampicarsi sui muretti, spiare fra le grate dei cancelli e le siepi e scrivere su un quadernetto. Poi, scavalcare con le forbici in mano e scappare via.
Remo, che lavora all’angolo con via Brofferio, m’ha raccontato che, alle cinque di ieri mattina, s’è sentito un botto che parevano tornati gli americani. E invece era Gerardo che cascava dal muretto, perché per reggere la penna, il quaderno e il suo corpo ladro, tutt’insieme, s’è sbilanciato ed è andato lungo. Ora è zoppo, ma non ha detto niente a nessuno, ché se fai il ladro non puoi chiedere aiuto ai derubati.
La sora Flora sostiene che Gerardo non ha la dignità, che è una cosa come la pellaccia, o ce l’hai o non ce l’hai, e noi, invece, ne andiamo fieri. Manco la moglie ha la dignità, perché fa finta di non vederlo, chiude gli occhi.
Flora è pettegola ma ha ragione: io, una cosa del genere, di pensare “Oh! Mi urta come pulisci il tombino. Mo’ ti rubo il bastone e gli attrezzi”, invece di dire “Bello ’sto modo che c’hai, lo posso usare pure io?”, non l’ho mai fatta, manco quando mi mancavano gli occhi per piangere.
Stamani, la signora Alicanti ha bussato in guardiola alle sei. Con tutto il rispetto, io attacco puntuale da quarant’anni alle sei e quindici, mai uno sgarro. Alle sei me ne sto ancora a casa, al mezzanino, a bere il caffè con Vitelia mia. Facciamo colazione, ci diamo un bacetto, parliamo dei nipoti, poi un altro bacetto prima che io salga in guardiola. Quando abbiamo sentito bussare, pensavo fosse Flora che ogni tanto viene a prendere il caffè. Pure Vitelia l’ha pensato, perché s’è fatta scura in volto. È gelosa! Dice che Flora mi ronza intorno. Mi fa ridere, Flora ha cinquantacinque anni, che ci deve fare con uno di settantasette come me? Comunque, non era Flora e il caffè m’è andato di traverso.
La signora Alicanti era bianca come un cencio, manco avesse visto un fantasma.
– Signora Alicanti! Che è successo, non state bene? – le ho chiesto.
E quella m’ha tirato per la manica senza dire una parola e m’ha portato alle ortensie.
– Lo so, signora, – le ho fatto. – Le rubano, anzi, le ruba. È un poveretto, ma state tranquilla, andrò a parlarci, vedrete che torneranno le ortensie più belle di Roma.
Ma lei non parlava, tremava. Poi, tutta impaurita, mi ha indicato la fontana. Mo’, bisogna dirlo, ’sta fontana, un po’ come le ortensie, è la più bella fontana del quartiere, con quel pavimento di mosaico che pulisco tre volte l’anno con lo spazzolino da denti. Le terme romane, sembrano. E dentro ci stanno pesci rossi, variopinti, argentati. Il mare tropicale, pare. Io e Vitelia, le sere d’estate, ci sediamo sul bordo e ci sentiamo in vacanza. Quando i nipoti ci vengono a trovare, per prima cosa corrono alla fontana, vogliono metterci le mani dentro, chiedono se possono dar da mangiare ai pesci. Certo, non possono.
Ho seguito la mano tremante della signora Alicanti che mi indicava l’acqua, il mosaico, le ninfee, i pesci. Tutti morti, a galla, gonfi, avvelenati. Ho tremato pure io, le gambe mi si sono fatte di gomma e mi sono inginocchiato.
Ho bestemmiato tanto che m’ha sentito pure il papa e Vitelia mia è corsa a vedere che era successo. Così anche il Generale Bromburi, scandalizzato, scala A; Flora, naturalmente, che ha sorretto l’Alicanti. Dalla C, gli Scottoni e gli Antinori, coprendo le orecchie e gli occhi dei bambini, che per ogni bestemmia mia c’era un pesce morto. Ho chiesto scusa alle signore per il mio linguaggio e ho pregato tutti di andar via. Avrei ripulito ogni cosa. Sistemato tutto.
Ho svuotato la fontana, poi con i bambini della scala A e B abbiamo fatto il funerale ai pesci. Li abbiamo buttati al Tevere, da ponte Sant’Angelo, tanto i sorci se li mangiano. E muoiono pure loro: mentre pulivo, ho trovato il veleno per topi vicino alla fontana: piccoli grani rossi che sembrano lenticchie.
Sono passati tre giorni e ho potato al meglio le ortensie. Ora, seduto sul bordo della fontana vuota, a guardare le mie ortensie violate, pensavo che è proprio una brutta faccenda. Che forse con Gerardo ci dovrei parlare. Allora mi sono alzato, ho messo via gli attrezzi, chiuso a chiave la guardiola e sono partito. Sono entrato nel giardino di via Ferrari, m’ha fatto uno strano effetto. La moglie di Gerardo piangeva, appoggiata a una scopa.
– Sora Vale’, che è stato? Che piangete?
– Sor Giu’, sor Giu’! – ha singhiozzato.
– Gerardo dove sta?
– Oh, sor Giù, voi nun lo sapete. Sta al sanatorio! Mezzo morto, ’sto disgraziato!
– Al sanatorio, ma perché, sora Vale’?
– Ah, sor Giu’, una fatalità, s’è senz’altro distratto. Un uomo onesto, tanto bravo.
– E dite, sora Vale’!
– Avvelenato, cor veleno dei sorci, por’ anima mia. Iersera, era solo, io stavo dai pupi, “mi faccio du’ lenticchie”, m’ha detto. Stamani s’è svegliato con la pancia gonfia, dura. Sembrava un pesce schiantato.
Elena Chiattelli

