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Mai visti prima
Anche con tutta la buona volontà, con mani così minute non sarei mai riuscita a strozzare il collo da toro di Randall. Ci ho pensato molto, ma non sarei stata capace nemmeno di piantargli un coltello in pancia. Mi mancava la forza. Mi mancava soprattutto la risolutezza, perché per quanto Randall mi ripugnasse, in fondo non era lui la causa della mia disperazione. Sin dall’arrivo, cinque anni fa, nella città di Randall, la cosa che più mi turbava del nuovo mondo erano le dimensioni degli spazi, della gente, dei luoghi. Incommensurabili. A partire dall’aeroporto, un gigantesco labirinto di scale mobili e corsie luminose nel quale si perdevano persino interi sciami…
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Corpi
L’affanno che mi opprimeva il petto scendeva piano verso lo stomaco e, trasformandosi in pulsione, camminava a rilento nella mia intimità. – Mi trovi vecchia? –, le chiesi. Mentre la luce fioca della stanza richiamava voglie soppresse e i rumori del traffico irrompevano nel silenzio della notte, provai vergogna per tutti gli orgasmi ascoltati da quella camera. Era quello stesso piacere che ora stavo cercando? Osservai il mobilio intorno a me. Aria consumata, odore umido, di polvere. Un capannone rivestito a dormitorio. Una finestra, un balcone, un tavolino in legno; un letto, che per quella notte sarebbe stato il nostro. Dana non rispondeva: come avrebbe potuto convincermi del contrario? Era…
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E il verbo è rimasto verbo e abita in mezzo a noi – La zattera di Kiefer
Martino mi aspetta al primo piano. Mi dà le spalle: sta guardando una tela appesa al muro. Lo raggiungo e mi metto accanto a lui. Mi fa un cenno di saluto e restiamo in silenzio. – Si chiama Il grande carico – bisbiglia poco dopo. – È di Anselm Kiefer. È un dono della Fondazione della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. Prende due sedie da un tavolo vicino e mi invita a sedere di fronte al dipinto. – Vieni, mettiamoci qua. Non distinguo uno sfondo preciso in quest’opera, ma solo un’informe materia simile a rame e piombo con, al centro, una struttura su cui, in maniera disordinata, sono…
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Casa mia
Sì, sono sicura. Voglio entrare da sola. Non preoccuparti mamma, ce la faccio. Sono stanca, fammi entrare dai, così mi metto a letto, ancora non riesco a camminare bene. Va bene, dice mia madre, per niente convinta. Sa bene che ho la testa più dura del marmo e che difficilmente mi smuovo dalle mie posizioni. Non è che volessi entrare da sola. Ma dovevo. Dovevo perché quella era casa nostra e adesso è casa mia. Perché io dovevo sentire il silenzio e abituarmi. Abituarmi al fatto che non ci saranno più due risate a rimbombare fra i muri di carton gesso, non ci sarà più il posto destro del divano…
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Ombre d’estate
Si fatica a camminare sulla terra molle del campo arato, meglio che mi sieda ad aspettare un po’ qui all’ombra. I due grandi alberi di fico si intrecciano nel cielo azzurro proiettando un grande ombrello nero nel bel mezzo di questa striscia d’argilla, che pare una crosta rappresa in mezzo ai campi di girasoli sfioriti. La scala è ancora appoggiata al ramo, la cesta piena di frutti è qui accanto a me. Non capisco questa tua fissazione di voler cogliere i fichi a mezzogiorno, quando il sole è tanto bollente: dici che sono più dolci, che, gonfi di zucchero, per il caldo si spaccano, ma io non ci credo. Quando…
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Editoriale novembre
La sindrome di Parigi ha una sintomatologia molto simile [stupori e svenimenti] alla sindrome di Stendhal, ma ha cause completamente opposte. È una sorta di delusione che colpisce i turisti, per lo più giapponesi, nel vedere la capitale francese. Pare che possa portare a una sorta di stato depressivo. La signora settantenne seduta accanto a me sull’aereo non smette di sciorinare i suoi saperi. Non so se, questo suo blaterare, sia dovuto a una sua consuetudine o sia un modo per alleviare la paura di volare. Vorrei solo smettesse. Non ne avevi mai sentito parlare? No. È la prima volta a Parigi? No. I miei monosillabi non la intimidiscono. Lei…