racconti

Viola

Sono passati dieci mesi, o quasi, e non riesco a farci l’abitudine. Forse perché è aprile, le giornate sono più lunghe e il sole, alto, emana una luce che toglie quasi la vista. Così, penso di continuo a quanto sia strano. Senza alcun dubbio è l’evento più strano che mi sia capitato nella vita. Che poi, strano lo è, tuttora, solo per me. Sembra che tutti si siano abituati: nessuno più guarda in alto, nessuno si chiede come sia successo. Solo io, come un idiota, rimango ogni volta a guardarlo stralunato e mi chiedo come sia stato possibile, se tornerà tutto come prima o rimarrà così in eterno. Quando lo domando ai colleghi, agli amici o ai vicini di casa mi deridono tutti. 

– Ancora che ti meravigli? – mi dicono. 

– Certo che non hai niente a cui pensare – esclamano, oppure mi domandano – blu o rubino, che differenza fa? 

In effetti, è vero! Non fa differenza. Tuttavia, anche se non cambia nulla, continuo a meravigliarmi. Anche quando ho tante cose alle quali pensare, continuo a guardare in alto e a scuotere la testa attonito. Ma poi: perché non dovrebbe essere il contrario? Ho sessantatré anni e per sessantadue l’ho visto così. Poi qualche giorno dopo il mio sessantatreesimo compleanno: pluff… ha cambiato colore. Per milioni di anni è stato in un modo e ora che è cambiato, dopo lo stupore iniziale, a nessuno interessa più nulla. E la cosa più curiosa è che non si sa perché. Ci sono tante ipotesi, ma ancora nessuna certezza. 

Ricordo quel giorno come fosse ieri. Mi stavo radendo, come tutte le mattine. Saranno state le sette e quaranta, sette e quarantacinque. Il rasoio scorreva sulla pelle del collo tracciando ampi solchi nel denso strato di schiuma da barba. Ricordo benissimo: era un rasoio nuovo, solo quelli mai usati radono così bene e così a fondo. Stavo radendo il mento, uno dei punti più delicati, proprio dove rischio di tagliarmi più spesso, e all’improvviso sento urlare:

– L’apocalisse! L’apocalisse! È l’ora del giudizio! 

Mi fermo e tendo l’orecchio. 

– Non capite fratelli – continua a urlare – è arrivato il grande giorno!

Allora ho riconosciuto la voce. Era il Merlotti, il vicino del primo piano. Un uomo che da alcuni anni ha riscoperto la fede e parla solo di religione, di salvezza e di anima. Spesso vede gli angeli e i santi camminare tra noi. Dice che scendono sulla Terra per lui, per portargli dei messaggi. Credo soffra anche di allucinazioni. 

Quella mattina, con il rasoio a mezz’aria, sono rimasto qualche secondo perplesso: sarà fuori di testa, ho pensato, anche se non l’avevo mai sentito gridare così. Dopo poco, quando le sue urla erano terminate, come pure il suo delirio mistico, ho finito di radermi e sono andato in camera da letto per vestirmi. Mia moglie stava dormendo con la coperta fin sotto al naso e quando la sua sveglia suonò, la spense con una manata borbottando, con la voce strozzata dal sonno, più a se stessa che a me – prepara il caffè.

Chiusi l’ultimo bottone della camicia e mi fiondai in cucina per il caffè. Il passaggio dalla semioscurità della zona notte al soggiorno mi fece notare una luce strana. Filtrava dalle tende e invadeva la stanza diffondendo dei colori insoliti. Mi avvicinai alla finestra e scansai la tenda. Aprii la portafinestra e uscii sul balcone. La prima cosa che vidi furono i vicini, i coniugi Rossi, affacciati al loro terrazzo distante appena tre metri dal mio. Guardavano entrambi in alto e la signora si reggeva a un braccio del marito e farfugliava delle parole incomprensibili, mentre lui scuoteva il capo ripetendo – non lo so, non lo so. 

– Buongiorno – dissi io sorridendo. 

– Ha visto cosa è successo? – rispose il vicino che mi guardava stralunato mentre la moglie, in una posa sgraziata dallo sgomento, mi rivolgeva uno sguardo ricolmo di apprensione. 

Guardai anche io in alto, e in quel momento non riuscii a credere ai miei occhi. 

– Perché il cielo è così? – chiesi sbigottito. 

Mi fissarono muti, come inebetiti. 

Dopo alcuni, lunghi, secondi di silenzio, il vicino rispose:

– Ci siamo svegliati ed era così, non sappiamo cosa sia successo.

Fissai a lungo e con una certa inquietudine il cielo, quel cielo che aveva assunto una nuova colorazione, quel cielo che da azzurro si era trasformato in viola. All’improvviso, nell’arco di una notte, aveva cambiato colore. Successivamente ci fu una lunga disputa per definire la nuova tinta: c’è chi vedeva quel cielo color rosso pompeiano, chi amaranto, qualcun altro carminio, altri ancora bordeaux, cremisi, rosso Falun o rosso mattone. C’è chi poi ha creduto di riconoscere il porpora, il rosso veneziano, il sangria. I più, tuttavia, hanno percepito una predominanza della tinta viola. E allora, hanno iniziato a descrivere il cielo color borgogna, malva, melanzana, prugna, vinaccia o rosso violaceo. In effetti, si tratta di un viola con una componente rossa. Alla fine, si è giunti a una conclusione: si tratta del color rubino. Il cielo, dunque, era divenuto rubino e io, allo stesso modo dei miei vicini, non riuscivo a distogliere lo sguardo. 

Ricordo quella mattina come fosse ieri e quel cielo che sembrava un manto purpureo che fasciava la Terra, un oceano viola in cui il sole appariva come una sfera pallida e giallastra e in contrasto con il cielo creava un effetto allucinogeno, quasi fosse una tela espressionista. Le nuvole trasportate dal vento, poi, apparivano di un candore insolito e sembravano sfilacciarsi su un tappeto viola e opaco. 

Entrai in casa e andai a chiamare mia moglie. Lei indossò subito la vestaglia, si infilò gli occhiali e tornammo sul balcone. – È incredibile – sussurrò, poi mi guardò, guardò i vicini ed esordì con tono convinto: 

– C’è una spiegazione! Certo, una spiegazione fisica, atmosferica, qualcosa di chimico – affermò sicura in volto mentre i segni dell’imminente risveglio sembravano conferire un aspetto ridicolo al tono risoluto col quale parlava. 

Rimanemmo tutti a fissarla in silenzio, in attesa della spiegazione. Incerta, disse che si trattava di un temporale molto violento che si stava per abbattere. Io guardai le nuvole bianche e sfilacciate che solcavano quiete l’aria. Le indicai una con l’indice, la più grande.

Mia moglie scosse la testa:

– Allora sarà un vulcano, sì un vulcano – disse – un’eruzione lontana che ha cambiato il colore del cielo.

– Quindi solo qui da noi il cielo è così? – chiese la vicina.

Mia moglie alzò le sopracciglia e arricciò la fronte, come a constatare l’ovvietà di quella domanda.

– Non dobbiamo preoccuparci: tra qualche ora ritornerà come prima! – esclamò allora il vicino e rientrammo in casa tutti e quattro rassicurati.

Dopo poco uscii per andare a lavoro e per strada non riuscivo a distogliere lo sguardo da quel nuovo colore che invadeva il cielo. E non ero il solo. Tutti, o quasi, stavano con la testa in aria. Giunsi dinanzi all’ingresso dell’ufficio e un collega mi precedette con aria indifferente. 

– Hai visto? – gli chiesi.

– Cosa? – rispose. 

– Il cielo!

Guardò in aria, poi rivolse lo sguardo verso di me e alzò le spalle.

– Non te ne eri accorto? – incalzai – è viola!

Lui guardò di nuovo in su qualche secondo.

– Davvero? – disse – non posso vederlo, soffro di cecità al colore.

Lo guardai con scetticismo mentre salivamo le scale dell’edificio.

– Acromatopsia – riprese lui cogliendo la mia perplessità – non vedo i colori.

Allora non riuscii a trattenermi, dovetti spiegargli l’accaduto mentre lui, indifferente, ascoltava come se la cosa non lo riguardasse. E forse davvero non lo riguardava, ma interessava gli altri colleghi con i quali nacque un acceso dibattito. Le ipotesi si moltiplicavano, ognuno aveva la sua spiegazione:

– Un incendio su scala continentale può riempire l’atmosfera con la luce rossa, provocando un effetto insolito – spiegavano due colleghe – in questo caso è la luce rossa a diffondersi – sostenevano con convinzione. Un altro collega ipotizzò un’eruzione vulcanica come mia moglie, altri ancora un attacco atomico, qualcuno si spinse fino all’ipotesi di un misterioso complotto ordito per ragioni altrettanto sconosciute. Tutti però convenivano su un aspetto del fenomeno: credevano che fosse temporaneo, una modifica cromatica che si sarebbe manifestata per un periodo limitato, dopodiché, il cielo sarebbe ritornato ai colori originari.

In realtà si sbagliavano, tutti. Quel cielo rubino è rimasto così e la causa è tuttora un mistero. 

Per giorni non si parlò d’altro. Sui giornali, in televisione, nei luoghi pubblici, nelle scuole. Quel fenomeno aveva persino preso il posto d’onore che di norma occupa il calcio nelle discussioni dei bar. E ovviamente, gli esperti fornirono decine di ipotesi che, allo stato attuale, sono ancora da confermare.

Di certo il mio diploma da ragioniere e la mia laurea mancata in lingue non mi hanno aiutato ad approfondire la questione. Però un paio di punti sono chiari: la Terra sulla quale vivo è circondata da un involucro atmosferico composto da azoto, ossigeno e qualcos’altro che ora non ricordo. Quando la luce del sole entra in contatto con l’atmosfera, i suoi strati filtrano la luce lasciandone passare solo la componente azzurra che si diffonde così in tutte le direzioni. Questo è il motivo per cui il cielo appare azzurro, o meglio, appariva azzurro. E questa è anche la ragione per la quale di giorno le stelle non sono visibili, mentre se fossimo sulla luna, che è priva di atmosfera, potremmo ammirare il sole e stelle sullo sfondo di un cielo perennemente buio. Questo è quello che ho capito leggendo gli articoli di giornale e guardando decine e decine di interventi degli specialisti in tv. La cosa più strana è che il cambio di tonalità riguarda anche l’alba e il tramonto: prima, quando il sole era basso, la luce che irradiava era ambrata, arancio o dalle calde tonalità rossastre. Ora è verde. Sembra assurdo, niente più tramonti rossi, ma verdi, di un verde pastello con sfumature olivastre.

Sta di fatto che, nonostante questo enorme stravolgimento, ho cercato comunque di vivere come sempre. In realtà, questo nuovo cielo non ha modificato la vita di nessuno, e non mi riferisco solo agli acromati o ai daltonici, ma a tutti, in generale. A parte lo stupore iniziale, alcuni hanno sofferto di insonnia per un po’ di giorni, altri, i meteoropatici, di depressione per qualche settimana, ma poi tutto è tornato nella norma, tutti si sono adattati. E, dopo circa dieci mesi, in televisione nessuno ne parla più, non una parola sui giornali, nei dibattiti pubblici e nelle scuole nemmeno più un accenno. E così, nessuno ci fa più caso e il cielo rubino, con la sua inspiegabile trasformazione, è diventato normale. Sembra quindi che sia un problema solo mio. Eppure, non riesco a farci l’abitudine, proprio non riesco. Il mio, è uno stupore che non terminerà mai. Sarà che sono portato a pensare che diffondendo la consapevolezza di questa inspiegabile mutazione cromatica, riuscirei a suscitare una reazione collettiva in grado di condurre un’analisi approfondita sulla natura di questo mutamento. Mi rendo conto, però, che la cosa non interessa ormai più a nessuno, e se riesco a risvegliare l’interesse di qualcuno, è sempre in maniera momentanea: in tanti reagiscono con esclamazioni come – ah già il cielo è viola – e il riscoperto stupore svanisce appena compare un bisogno poco più urgente. Mi rendo conto che la mia meraviglia vale poco, o forse niente. Sono convinto, comunque, che la spiegazione ultima delle cose abbia una radice difficilmente comprensibile: credo che il mondo non sia così come lo si vede, che la natura abbia delle leggi nascoste, difficili da percepire.

Esco sul balcone, voglio di nuovo assistere allo spettacolo sconcertante di quella che fu la volta celeste. Forse ora diverrà la volta rubino o la volta violacea, credo che il nome non sia ancora stato cambiato. Immagino che andranno corretti e ristampati tutti quei libri che descrivono il cielo come azzurro. 

Quasi dimenticavo che ieri abbiamo fatto la spesa io e mia moglie. Non abbiamo comprato le olive e stasera ospitiamo degli amici. Non posso invitarli a un aperitivo senza gli stuzzichini e le olive, ovviamente. Mi tocca andarle a comprare. E comprerò anche una bottiglia di vino. Un vino rosso, corposo dal colore intenso che mi ricorda questo cielo, un cielo che sembra davvero un immenso mare di vino. Chissà se stasera andrò a dormire e domani, al risveglio, mi troverò sotto un nuovo cielo, magari fucsia con i tramonti ardesia, oppure giallo come un limone con l’alba antracite. Sarebbe bello, perché no! Tanto, rubino, viola o giallo non cambierebbe nulla. Finirebbero comunque tutti per farci l’abitudine.

Angelo Lachesi