editoriale

editoriale agosto

D’estate, quando sono in vacanza, c’è un momento della giornata che adoro particolarmente.

È l’ora in cui il sole pende a ovest e il giorno si acquieta. Un venticello tiepido spira da qualche parte e la gente rincasa dal lavoro, dalla spiaggia o dal pendio di una montagna. Saranno più o meno le otto di sera, l’ora in cui decido che uscire a passeggiare e ascoltare tutto quello che c’è fuori, sia l’unica vera panacea. 

Ho tracciato, in tutti questi anni, un percorso che di tanto in tanto mi piace modificare: imbocco qualche strada parallela, allungo nella piazza del paese e mi aggiro tra una serie di palazzine a tre piani, color ocra, tutte con il motore del condizionatore acceso. Da quelle finestre giungono i più disparati rumori di vita domestica: tramestio di stoviglie che vengono disposte sul tavolo pronte per la cena, televisioni accese, discussioni più o meno animate tra adulti, urla divertite di bambini che giocano – mi piace pensare – a rincorrersi, gemiti di piacere di qualcuno che fa l’amore e tuonanti flatulenze di qualcun altro che ride divertito per quelle sue rumorose emissioni. 

Rido anch’io.

Poi percorro il sentiero di una piccola pineta e lì, in mezzo agli aghi verdi, mi perdo nel chiacchiericcio delle cicale. Un unico fonema ripetuto senza sosta all’infinito: č-č-č-č-č. Maschi che blaterano di continuo per conquistare le femmine. Una storia che si ripete in qualunque specie animale.

Quando arrivo all’ultimo pino, la strada si apre in una distesa di innumerevoli granelli di sabbia. Di fronte a me, il mare. A quel punto tolgo le infradito, corro verso il bagnasciuga e mi soffermo a osservare – quasi incantata – quei minuscoli strapiombi sabbiosi che l’acqua salmastra crea, quando si ritrae. Un perpetuo movimento ondoso di sh che va e viene.

Rumori.

Na-na-na-na. 

Rumore. Rumore. Na-na-na-na. 

Circondata da suoni così distinti e diversi, mi viene in mente la canzone della Carrà. 

Che notizia la sua morte! Mia nonna è rimasta incollata per giorni davanti a uno schermo: non si sarebbe persa per niente al mondo né i tributi né il funerale. 

– Ho due anni meno di lei. Sono cresciuta insieme a lei! Ma t’immagini?!

No nonna [non le ho detto], non m’immagino. 

So solo che lei, Raffaella Maria Roberta Pelloni in arte la Carrà, ha lasciato un segno ai posteri. Frivolo. D’intrattenimento. Di piacere. Pur sempre un segno è. Il suo nome verrà ricordato ora e per sempre nei secoli dei secoli amen. Insieme al nome di tutti quelli che, come lei, hanno lasciato qualcosa nella Grande Storia. Nel bene e nel male.  

Ma noi comuni mortali che non andremo mai in tv, che non gireremo un film, che non legifereremo, che non saremo pittori, che non vinceremo alcuna medaglia olimpica, noi, senza infamia e senza lode, quale impronta lasciamo su questa terra, nella nostra storia? Non abbiamo forse già perso la memoria dei nonni dei nostri nonni? E non succederà forse ai nipoti dei nostri nipoti? Quale ricordo lasciamo, noi, se non un nome sbiadito negli archivi comunali o sopra una lapide?

Tiro un lungo sospiro e penso che stare davanti a quest’immensità azzurra non aiuta a non sentirsi più piccoli, né tanto meno a elaborare questi discorsi fatalisti. O forse – molto più plausibile – mi distrae da altri [miei] pensieri più urgenti.

Ma sul serio, mi chiedo: cosa ne è stato di Amedeo il panettiere che vide sbarcare Napoleone a Portoferraio? E cosa del garzone Juan che puliva la poppa de la Pinta nella spedizione verso le Indie tanto agognata da Colombo? Che ne è stato di tutta quell’umanità sconosciuta prima di noi? Decadi e lustri prima di me? Di ora?

Cenere e ossa. 

Eppure il mare continua a esserci e continuerà a ondeggiare avanti e dietro. Gli alberi seguiteranno a fotosintetizzare. Ci saranno altre generazioni di cicale. Altre generazioni di noi. Altri accadimenti. Altre cose di cui abbiamo necessità verranno prodotte da noi comuni mortali per poter vivere, divertirci, farci male. Ancora. Di nuovo. Sempre.

Forse Napoleone Bonaparte non ha mai mangiato il pane sfornato da Amedeo Cigolini e Juan Defuentes non ha mai aggiornato Cristoforo Colombo sullo stato di pulizia della caravella e Raffaella Carrà non saprà mai che mia nonna ha sempre seguito tutti i suoi programmi. Eppure gli uni, anche se inconsapevolmente, sono stati utili agli altri. 

L’eredità dell’umanità è questa [forse]. È relativa al tempo.

Con l’indice scrivo sulla sabbia bagnata: RELATIVITÀ. Che Einstein abbia pensato a questo quando ha formulato la sua teoria? Sicuramente no.

Il sole non c’è più. La luce, sulla linea dell’orizzonte, sta sfumando. Guardo il mare che si sta portando via quello che resta della scritta: vità. 

Rimetto le infradito e torno a casa. E ai miei pensieri.