
Kerkstraat
Il pub stava chiudendo quando, d’un tratto, andò via la luce. Al buio, detti l’ultimo sorso. Frugai le tasche e lasciai qualche moneta sul bancone.
Vivevo ad Amsterdam da ormai quattro anni e pagavo ancora l’affitto per un bugigattolo di 30 metri quadrati. A me stava comunque bene. Rientrai in casa che era mezzanotte passata. Era stata una delle mie solite giornate: lavoro fino alle sette, poi cena al pub. Rientrando nel mio appartamento, non potei fare a meno di accorgermi di un miagolio. Varcai la soglia di casa e vidi un gatto sopra uno dei miei dischi. Era seduto sopra la banana disegnata da Andy Warhol. Oziava senza alcun ritegno sopra la copertina dei Velvet Underground.
«Via, gattaccio!», urlai d’istinto.
Il gatto balzò sul letto.
«E va bene, resta pure lì», feci un po’ rassegnato.
Andai in bagno per pisciare e sciacquarmi il viso. Quando tornai, il gatto era ancora lì che si stava leccando una zampa.
«Ti sei già ambientato, eh. Vediamo, come posso chiamarti?», dissi togliendomi le scarpe.
Il primo nome che mi passò nella mente fu Willy.
«Forse Willy è un po’ banale», risi grattandogli la testa «mi sembra un buon nome per un gatto, però». Miagolò e mi piacque pensare che stesse approvando la mia scelta. Sorrisi di nuovo.
«E’ un posto piccolo, dovremmo stringerci un po’, amico mio».
Willy piegò la testa da un lato e mi fissò.
«Ascolta questo, e dimmi se è o non è un capolavoro».
Misi la puntina del giradischi sulla prima traccia del disco. Dopo un breve fruscìo, Sunday Morning attaccò e il gatto iniziò di nuovo a leccarsi.
Mentre canticchiavo quelle parole, lo accarezzai. Anche Willy sembrò apprezzare.
La mattina dopo cominciò la solita routine: doccia, colazione, bici e via al lavoro.
Inscatolavo e mettevo ordine in un magazzino di prodotti farmaceutici: tutto il giorno, tutti i giorni. Avevo la nausea a forza di vedere antibiotici e lassativi.
A fine turno mi diressi al market. Comprai qualcosa per la cena e qualche scatoletta per Willy.
«Ti sei fatto un gatto?», mi chiese la donna alla cassa.
«Si è intrufolato in casa mia, così, senza alcun invito».
«Gli hai già preso una lettiera?», continuò a chiedermi, tra un bip e l’altro.
«No, dici che ne dovrei prenderne una?».
La donna fece spallucce e accennò un sorriso.
Salii in bicicletta per andare al negozio di animali lì vicino. Presi una lettiera profumata, una paletta e una ciotola. Quando entrai in casa, Willy stava dormendo sopra il cuscino.
Nell’aprire una scatoletta, vidi tendere prima un orecchio nella mia direzione, poi si alzò, si stiracchiò e si fiondò a mangiare. Prima di cena mi feci del caffè. Guardai la posta: c’erano due bollette e una lettera.
Aprii solo la lettera. C’era scritto: per Ernie.
Caro Ernie,
spero che tu stia bene e che la vita ti vada per il verso giusto. Oggi, mentre mangiavo una mela, d’improvviso, mi sei venuto in mente. Chissà mai perché. Vivi sempre da solo? Oddio, se non ricordo male, nella tua stanza non c’è molto spazio per due persone. O forse hai cambiato casa? Bè, se stai leggendo queste parole, immagino che tu abiti ancora lì. Io mi sono rifatta una vita. Sto bene, sono felice. Domani mi arriva anche il divano nuovo e poco tempo fa, Manuel, così si chiama il mio nuovo compagno, ha comprato un televisore gigantesco.
Il lavoro, invece, va uno schifo. Voglio cambiare, mi sono rotta di stare tutto il tempo a dire “buongiorno” e “buonasera”, quindi credo proprio che cercherò qualcos’altro.
Scusa se mi sono permessa di scriverti, spero di non averti disturbato.
Con affetto,
Amie
Richiusi la lettera e finii la tazza di caffè. Per cena preparai una bistecca sulla griglia e apparecchiai il tavolo. Dal frigo presi una di quelle birre belghe.
Mentre la carne cuoceva, ripresi in mano la lettera per rileggere qualche passaggio.
Amie era stata la mia ragazza per più di sette anni. Quando mi lasciò fu tremendo. Credo che anche per lei non fu affatto facile. Da allora non ci eravamo più sentiti: questa era la prima volta dopo due anni.
Fu strano leggere quelle sue parole e di come era riuscita a ricominciare. Io, invece, ero sempre il solito: squattrinato e con le stesse abitudini. Niente di nuovo, se non un gatto. Beh Willy, effettivamente, era una grande novità in una vita come la mia. Prendermi cura di lui mi dette, fin da subito, buone vibrazioni.
«Ehi», feci a Willy. «Mi ha scritto una donna che ho amato molto».
Lui saltò sulle mie gambe. Lo accarezzai e continuai a parlargli.
«Ero pazzo di lei. Poi, come tante cose, non è andata».
La risposta fu solo un prolungato miao.
Al lavoro parlai a tutti del mio nuovo amico a quattro zampe. Mi rallegravo quando le persone chiedevano di lui. Era un pensiero semplice e bello. Anche, la cassiera del market, ormai chiedeva sempre qualcosa. Stavamo diventando una coppia: Ernie e Willy.
«Mi piacerebbe conoscerlo», disse la cassiera, un giorno.
«Okay, Anine», risposi guardando la targhetta che portava sulla camicia.
Lei sorrise e poi mi fece:
«Potrei passare sotto casa tua prima di entrare al lavoro».
«Facciamo domani?».
«Sette e mezzo?».
Su un fogliettino lasciai il mio nome e l’indirizzo. Poi uscii. Anine era una donna sui quaranta, un po’ in carne e con un bel viso.
La mattina, mi affacciai subito alla finestra: Anine era già lì, composta, seduta su una panchina.
«Ehi, sali?», gridai.
«Certo, se non disturbo».
Quando entrò in casa, Willy si nascose. Trovò il coraggio di farsi vedere solo dopo qualche minuto.
Anine adorava i gatti e sapeva come farsi benvolere. Così, in pochi minuti, fecero amicizia.
Da lì in poi, ogni martedì o mercoledì, Anine passava sotto casa per salutare Willy. Era diventata un’abitudine. Durante quei brevi incontri ci raccontammo un po’ le nostre vite.
Decisi di invitarla a cena fuori. Era molto tempo che non uscivo con una donna, non mi ricordavo nemmeno più come si facesse. Ma, dovetti ammettere che Anine, cercava di mettermi sempre a mio agio e mi toglieva dal mio imbarazzo.
Prenotai un tavolo per le otto. L’aspettai davanti all’entrata del ristorante.
«Bello qua», esclamò scendendo dalla bicicletta.
Il tavolo era uno di quelli di fianco alla vetrata. C’erano luci soffuse ovunque.
«Sembra romantico», continuò osservando il locale.
Il cameriere arrivò con una bottiglia di vino: ne versò due calici. Iniziammo a parlare un po’ di tutto, poi, lei, mi disse: «Certo che è strano essere a cena fuori con te, un cliente».
«Già. Ancor più strano esserlo con la cassiera del market», ribattei.
Ridemmo insieme e continuammo a sorseggiare vino.
La serata passò veloce. Fuori dal ristorante, mi diede un bacio sulla guancia.
Una volta a casa, vidi Willy raggomitolato sul cuscino.
«Ehi, bello».
Presi dei croccantini e gliene versai un po’ nella ciotola, e cominciai a confidarmi con il gatto.
«Anine è carina. Mi piace. Sai?».
Poi, entusiasta della serata appena trascorsa, presi carta e penna e incominciai a scrivere.
Cara Amie,
la mia vita è sempre la stessa, più o meno. Vivo sempre in Kerkstraat vicino Albert Heijn, il market.
Sono felice che tu ti sia rifatta una vita e per il divano nuovo: rimane sempre la cosa più importante di una casa. Stasera sono uscito con una donna, ma niente di serio. Sono stato bene, però.
Ho un gatto, si chiama Willy. Avrà, sì e no, tre anni. Me lo sono ritrovato in casa, un giorno. Credo che sia entrato dalla finestra. Pensa, è un appassionato di Lou Reed.
Non mi hai disturbato con la tua lettera, spero di risentirti presto.
Con affetto,
Ernie
Piegai il foglio e mi allungai sul letto. Rimuginai su Anine e sua sorella. Durante la cena mi aveva confessato di aver litigato con lei tanti anni prima e che, da allora, non l’aveva più vista. Pensai che, forse, potevo aiutarla. Così, nei giorni successivi mi offrii di accompagnarla a Zandvoort, il piccolo paese sulla costa dove viveva la sorella. Anine accettò.
Quando arrivammo, mi disse di aspettarla in macchina. Attesi due ore lì seduto con la radio accesa. Rientrò e non disse niente. Poi dopo un po’, ruppe il silenzio:
«Grazie. Non ce l’avrei mai fatta senza di te».
Sorrisi e basta. Poi le proposi: «Ti va di prolungare il viaggio?».
«Sicuro! Dove andiamo?».
«Da una persona alla quale voglio ancora bene».
Svoltammo in direzione Alkmaar. Parcheggiai davanti a un giardino.
C’era un uomo che annaffiava.
«Buonasera. C’è Amie in casa?», chiesi uscendo dalla macchina.
Mi squadrò e mi interrogò con lo sguardo, allora aggiunsi: «Sono un vecchio amico».
«Amie! C’è una visita per te», urlò.
Dopo una manciata di minuti, uscì dalla porta e si avvicinò. Le dissi soltanto poche parole poi, la salutai con un buffetto. Quando salii in macchina avevo una gran voglia di vedere Willy. Nel silenzio del viaggio di ritorno, al calar della sera, Anine poggiò la sua testa sulla mia spalla.
Daniele Pratesi
In copertina Gambetta

