
Una boccata d’aria fresca – Festival della Letteratura Sociale
Domenica 30 maggio 2021.
Suona la sveglia, guardo il cellulare: le 8:00.
Rimandarla almeno altre cinque volte, per avere l’illusione di dormire un altro po’, è ciò che farei in un giorno normale, ma oggi è diverso.
Oggi, dopo un anno e mezzo, finalmente torno a un festival di libri dal vivo e non mi sembra vero. Si tratta del Festival della Letteratura Sociale, alla sua sesta edizione, che si tiene a Firenze.
Mi stiracchio un po’ e penso al mio treno che partirà tra un’ora e mezzo, già mi vedo arrivare tardi in stazione e correre per riuscire a non perderlo.
Con questo pensiero mi fiondo in cucina per la colazione, poi doccia, mi vesto e parto. Sono elettrizzata.
Sotto la mascherina ho una specie di paresi facciale, non smetto di sorridere. I festival letterari sono da un po’ di anni il mio posto felice: se nei libri trovo nuovi mondi nei quali rifugiarmi per qualche ora, ai festival la magia dei libri esce da quelle pagine e diventa reale e gli scrittori, gli illustratori e gli editori che ho visto così tante volte sui social, tutt’a un tratto e per il tempo di un festival, per l’appunto, si materializzano e non posso che esserne felice.
Quando arrivo a La Polveriera, lo spazio autogestito che organizza il festival, ci sono già un po’ di persone. Non conosco nessuno ma ho come la sensazione di entrare in un posto familiare. C’è chi monta gazebo per ripararsi dal sole, persone distese sul prato sopra una coperta, bambini che giocano e un cane che corre libero. Poi c’è il porticato che racchiude tre lati dello spazio verde e sotto ci sono tanti tavoli ancora vuoti che presto si riempiranno di libri, riviste e gadget.
Stranamente sono arrivata in anticipo, non capita quasi mai e non ci sono abituata. Non sono mai quella che aspetta e mi sento quasi impacciata nel non saper cosa fare. Allora scatto qualche foto e poi chiedo agli organizzatori se serve una mano.
Dopo un po’, il posto comincia a popolarsi e finalmente arrivano anche Carlotta, Edoardo e Luca, abbiamo fatto la triennale insieme, percorso concluso ormai da qualche anno, e non li vedo da un po’ di mesi, ma ci sentiamo sempre ed è bello finalmente incontrarsi. Anche i tavoli sotto al loggiato iniziano a riempirsi: alcuni hanno i libri ben impilati, simmetrici e ordinati, altri invece hanno gadget e fanzine appoggiate alla rinfusa.
Insieme ai miei compagni di festival decidiamo per un primo giro di perlustrazione e poi ci dedichiamo al pranzo vegano preparato da La Polveriera da consumare sul prato. Chiacchieriamo di tutto, stiamo bene e penso che è davvero bello potersi vedere dopo tutte le preoccupazioni che la pandemia ci ha riservato in questi mesi, e farlo qui in mezzo alle cose che ci piacciono è ancora più bello.
Tra una risata e una parola, osservo le persone che scrutano, curiose, tra i tavoli sotto il porticato e viene voglia anche a me di fare un altro giro, così mi avvicino e saluto qualche editore conosciuto ad altri festival e inevitabilmente finiamo col parlare di libri e progetti. Poi vedo Sara, una ragazza che ho conosciuto a un altro festival di libri sempre qui a Firenze, non la vedevo dall’estate scorsa e mi sembra veramente passata una vita.
È strano. È come se il tempo si fosse fermato e ora sembra ripartito. Piano. Cioè, so bene che il tempo non può essere fermato, almeno non nell’accezione umana che conosciamo, ma per mesi ho avuto l’impressione di aver vissuto in una bolla: le cose attorno a me accadevano, lente, lontane, quasi intangibili, tanto da sembrare che le vivessi a metà. E ora quella bolla sembra esplosa. Finalmente.
«Questo festival è una boccata d’aria fresca» le dico. «E finalmente, posso respirare».
«Questo è il ritorno alla normalità» annuisce.
Come un richiamo alla preghiera, da qualche parte arriva il rintocco di una campana: sono le 16:00 e c’è un incontro che non posso e non voglio perdermi. Saluto Sara e cerco un posticino all’evento chiamato Nuovi immaginari nella narrativa italiana contemporanea in cui gli autori Matteo Grilli e Andrea Cassini, in conversazione con Francesca Corpaci, parlano e leggono stralci tratti dai loro romanzi editi Effequ: Crocevia di punti morti. Quattro anime nel pozzo e Non tutto il male. Cronache della terra inabitabile. Mi segno i titoli.
Subito dopo, mentre sono con i miei amici a chiacchierare sul prato, si avvicina Giacomo: un amico della mia amica Carlotta. Lui, con altri suoi amici hanno un proprio stand. Presentano un loro progetto: la realizzazione di una fanzine molto carina e adesivi con scritte e disegni per una casa editrice. Ed è proprio Giacomo che alle 18:30 mi invita alla presentazione del libro La scommessa psichedelica edito Quodlibet. È un libro che non conosco, ma mi va di accompagnare lui.
Poi piano piano arriva quell’ora in cui la luce si attenua confondendo i contorni. E io, mi trovo lì sotto gli archi del loggiato che circondano il prato, con una birra fresca in mano. C’è una melodia di sottofondo suonata da un’arpa e un violino e una voce che recita poesie. Così, con lo sguardo assorto nel vuoto, sento Giacomo, che conosco da un paio d’ore, esclamare:
«Ehi, che hai? Ti vedo pensierosa». Lo guardo e capisco che non riesco proprio a nascondere nulla, nemmeno a chi non mi conosce così bene.
«Beh, diciamo che sono una persona malinconica e quando finisce qualcosa mi intristisco un po’, ma poi passa». Mi mette un braccio intorno al collo e ascoltiamo la musica. Mi sembra un momento perfetto, alla fine di una giornata straordinaria. Sono sempre più convinta che i festival mi facciano bene, che abbiano su di me un potere calmante.
Sulle note di una sinfonia sconosciuta capitolo la mia giornata: è ora di tornare a casa. Saluto Giacomo alla stazione di Firenze, lui tornerà a Milano l’indomani mattina, ci diamo un abbraccio che dura pochi secondi e che avrei voluto durasse molto di più. Ci guardiamo negli occhi e ci siamo già detti tutto.
Durante il viaggio che mi riporta a casa tra una fermata e l’altra mi addormento un po’ e faccio un sogno: è il 30 maggio 2019 e mi trovo alla stazione di Firenze, la pandemia è ancora lontana e di certo non posso immaginare che tra poco meno di un anno ci troveremo tutti chiusi in casa. Sono con Giacomo e lo abbraccio per salutarlo, ma lo faccio distrattamente senza darci troppa importanza, è solo un abbraccio e non capisco il valore che avrà questo gesto tra qualche anno.
Mi sveglio, guardo i miei occhi nel finestrino: sorridono.
Greta Salvetti

