
editoriale giugno
Mia sorella dice spesso che vivo in un mondo tutto mio, fatto, secondo lei, di fiabe e poca realtà. A niente vale il ribadire che tutti abbiamo una dimensione propria in cui abitiamo: liberi di muoversi, accettarsi, tollerare lo spazio che in un certo senso siamo costretti a condividere con il resto del mondo. Quello di tutti.
Così, non mi sono meravigliata più di tanto quando un paio di venerdì fa mi è capitato di scontrarmi con un mondo nuovo. Anzi due: quello di Donatien Alphonse François de Sade e di Leopold von Sacher-Masoch. Questi signori, non più in vita da almeno cent’anni, hanno dato un contributo essenziale a quelle parole che noi oggi conosciamo come sadismo e masochismo. I due tipi, poc’anzi citati, erano entrambi scrittori. Entrambi autori di romanzi erotici.
No. Non mi sono imbattuta in completini di pelle attillati, frustini e tacchi a spillo [anche se mi piacciono molto]. Ne ho solo parlato con un tizio: incipit a una manciata di minuti di sesso di scarsa qualità.
Eppure il preludio era stato promettente.
Una serata di quasi fine maggio tra amici [suoi], chiacchiere, risate [tante e bellissime] e un numero spropositato di bicchierini di distillati [dopo il secondo non se ne distingueva più il sapore]. Così fino a quando non è arrivata l’ora di congedarsi. Eravamo appiedati e con la scusa del casa tua è troppo lontana, puoi restare da me, in men che non si dica ero sul suo letto a parlare del marchese de Sade e dell’autore di Venere in pelliccia. Poi, senza neanche un vero bacio, ci siamo ritrovati nudi e impacciati in un coito poco eccitante e soprattutto, purtroppo, privo di orgasmo. Colpa dell’alcol.
Svegliata dalle prime luci del giorno e dal suono di un fastidioso e persistente orologio ubicato non so dove nella stanza, mi sono rivestita e sono tornata a casa. A dormire.
Al secondo risveglio, quando tutto era più nitido, la prima cosa che mi sono detta è stata: mai più con lui.
Poi però nel mio mondo succede questa strana cosa che si chiama ripensarci.
Forse sarebbe più corretto dire passare al setaccio tutti quei dettagli sfuggiti alla prima affermazione razionale e sensata della giornata. E allora, mentre osservavo al microscopio tutto quel che la memoria aveva immagazzinato in quelle poche ore trascorse insieme, riaffioravano i motivi per cui forse valeva la pena concedersi [e concedergli] un’altra opportunità.
I miei piedi freddi coperti dai suoi per tenerli al caldo.
La breve conversazione mormorata poco prima di cadere vittime di Morfeo: a cosa pensi?, ha chiesto lui. A niente, ho detto io, e tu? A Stromboli, ha risposto lui, è un’isola vulcanica.
Dormire nudi abbracciati.
Cliché ripetuti da tanti. Pochezze che anche io avevo vissuto miliardi di altre volte [a parte Stromboli, s’intende]. Eppure per giorni non ho fatto altro che tornarci con il sorriso. Fino a convincermi che non sbagliavo a scrivergli un messaggio. Ciao, che fai domani sera? Ha detto che non poteva. Gliel’ho richiesto. Altre volte. Altre scuse. Poi ha smesso di rispondere. Mi sono infuriata. Non so bene con chi. Mi sono dispiaciuta. Non so bene per chi. Poi ho cominciato, di nuovo, a formulare pensieri ragionevoli.
Farsi del male.
Persistere nel farsi male.
Lasciare che gli altri facciano male.
L’incapacità di capire quando smettere di soccombere.
Illudersi di avere il potere di cambiare la situazione. Una volta tanto.
Ho mentito. De Sade e Masoch non sono sconosciuti al mio mondo: sono amici di vecchia data. Di tanti, troppi, reiterati coinvolgimenti simili. Solo che a un certo punto le cose, le persone e le situazioni decidono che le cose, le persone e le situazioni non possono più essere appannate, smerigliate e si rivelano. Traspaiono.
Non credo sia stato un caso fortuito quell’incontro di quell’ormai lontano venerdì sera. E non mi riferisco al tizio senza nome [unico a dover restare nell’anonimato] con cui sono finita a letto. Credo piuttosto alla volontà di guardare la medesima dinamica così puntuale, identica e perentoria sotto una diversa angolatura: la connotazione.
Così prima di sedermi al mio tavolo di lavoro a buttare giù le domande per un’intervista a una scrittrice candidata al premio POP – Opera prima 2021, cerco su internet una foto di Stromboli. La stampo, prendo dalla libreria il vocabolario e comincio a cercare. Poi, sotto l’immagine in bianco e nero appunto:
Connotazione: s.f. [dal lat. mediev. connotatio -onis, di connotare «segnare insieme, in aggiunta»]. – In linguistica, elemento accessorio che, insieme con la denotazione, contribuisce a costituire il significato di una parola in un determinato contesto; consiste nelle sfumature di ordine soggettivo, e cioè i valori allusivi, evocativi, affettivi, che accompagnano l’uso della parola aggiungendosi ai suoi tratti significativi permanenti.
Con lo scotch di carta lo attacco alla lampada: sarà il mio promemoria di giugno.

