racconti

Così, sono morto

Sono entrato alle otto e mezza precise di mercoledì. 

Lei ha aperto ed è scappata subito in cucina lanciando parole. Ho compreso solo uno scusa, cena, finire. Mi sono ritrovato da solo nel salotto. Una tv Panasonic da 40 pollici inserita nel muro, forse lo vendono così, con lo schermo incorporato, un divano tre posti larghi con i poggiapiedi elettrici, un mobile con una collezione di dvd del corpo umano, di film di Harry Potter e un sacco di fotografie che ho preferito non guardare per non fantasticare storie, passati o altro e rimanere vergine della sua conoscenza. Mi sono seduto sul divano cercando di occupare meno spazio possibile e ho aspettato nel silenzio. La casa si dirama in un corridoio stretto e ho immaginato una cucina e una stanza da letto, un bagno. Ho pensato che, sotto di noi, la fogna collega tutte le case e, volendo, potremmo entrare quando ci pare dal cesso e rubare, uccidere, picchiare o solo farci compagnia senza suonare il campanello e avvisarci a vicenda. Mi sono sentito per la prima volta grande, con un primo appuntamento e una cena e una cucina. Mi sono sentito grande e mi sono sentito di dover dire che le cose mangiate erano buone e ho dovuto fare i complimenti, essere in casa di altri senza i miei e senza le solite civetterie da seguire e andare in camera degli altri figli e fingere di essere noi i grandi mentre i grandi veri fanno discorsi seri sui divani e noi giovani giochiamo alla play, nascosti. 

Ho un jeans abbastanza stretto, una felpa di Jumanji con il faccione di Robin Williams in primo piano, i capelli di media lunghezza e le vans bianche e nere che porto sempre. Non ho un abito per ogni situazione, non sono riuscito, negli anni, a seguire uno schema fisso e ora mi ritrovo a brancolare nel buio quando devo gestire le occasioni che mi capitano a tiro. 

Mi sono sentito catapultato in una commedia romantica quando ho visto le candele sul tavolo e ho chiesto di spegnerle perchè non sono quel tipo di persona. Lei mi ha sorriso e ha detto che le aveva messe solo per fare scena e che il nostro incontro era così casuale da portare ad un’infinita possibilità di situazioni e non avrebbe voluto sbagliare. Le ho sorriso e l’ho trovata carina. Una magliettina a maniche corte di colore rosso e un jeans, un paio di nike nere e i capelli lasciati lunghi sulle spalle. Mi ha ricordato qualcuno, ma ho deciso di non focalizzarmi troppo per evitare fusioni di personalità.

Mi ha detto che il forno aveva bisogno di quindici minuti e ci siamo seduti, ha tirato fuori da un cassetto un pacco di sigarette e si è avvicinata alla finestra per fumare. Siamo rimasti in silenzio e mi sono sentito un estraneo. Mi sono chiesto cosa diavolo ci facessi lì e ho notato che qualcosa nelle pareti non era apposto, come se della muffa crescesse sui bordi e fosse pronta a prendere possesso della casa intera. 

La scena ha iniziato lentamente a cambiare colore per raggiungere una specie di verdognolo vomitevole e anche lei è cambiata, la sua pelle da essere rosa e pallida e poco abbronzata è diventata simile al grigiastro, i suoi occhi quasi bianchi e la sua bocca, solo quella, rossa, molto più rossa di quanto avevo notato all’inizio. 

Le ho chiesto dov’era il bagno e lei mi ha indicato la terza porta lungo il corridoio, mi è sembrato avesse perso la voce o forse si era dimenticata come usarla.

Quattro pareti strette mi hanno imprigionato. Il lavandino è molto piccolo e mi sono dovuto piegare per lavarmi i denti. Mi è salito un conato di vomito, ho avuto la sensazione di scendere anche io giù, per il tubo, insieme all’acqua e pezzi di colgate. Ho sputato a lungo sperando che il vomito uscisse una volta per tutte e non tornasse più. Sono rimasto in piedi per un po’ e ho avuto la sensazione che qualcosa strisciasse sulle pareti e che l’acqua, scaricata dal lavandino, stesse corrodendo l’intera casa e ci fosse qualche perdita grossa e la muffa, sui bordi, venisse alimentata proprio dall’acqua scesa dal tubo, rimasta in circolo per tutta la casa, ormai sul punto di cadere giù. 

Sono tornato in cucina e ho trovato il piatto in tavola, carne, uva e un sughetto strano. Mia madre si è seduta davanti a me e abbiamo iniziato a mangiare in silenzio, ho sentito che era arrabbiata, forse perchè non mi aveva visto studiare nemmeno quel pomeriggio, ma non ho alzato gli occhi dal piatto: ho avuto paura di una bella sgridata e di qualche previsione amara sul mio futuro. Poi ho sparecchiato e ho messo il piatto nel lavabo e ho avuto la sensazione che i tubi stessero per esplodere e buttare giù tutto, ho sentito pulsare le pareti come quando ti tagli e la ferita respira, inizia ad uscire il sangue e premi con un fazzoletto. Solo che le pareti erano troppo grandi per essere tamponate e mi sono ripetuto che sarebbe esplosa e basta, non c’era possibilità di salvezza. 

Mi sono spostato di nuovo in salotto e mi sono accomodato sul divano e davanti a me è apparso un foglio protocollo con degli esercizi. La mia prof di inglese mi ha guardato, ha sorriso e ha fatto un cenno con la testa per farmi capire che potevo iniziare. Gli occhi hanno preso a lacrimare perché non mi ricordavo di avere un compito e queste sono proprio quelle cose per cui mia madre si incazza e poi mi sgrida, allora ho guardato il compito e gli esercizi e mi sono detto che porco cane non studiavo da due settimane e non ricordavo nulla. Così ho messo crocette a caso dove c’erano da mettere le x e ho lasciato in bianco dove c’era da scrivere un brano. Mi sono detto che avrei dovuto subito recuperare con l’interrogazione così mia madre non avrebbe potuto dirmi nulla e avrebbe solo accettato il fatto che ero andato male, ma mi ero messo sotto per recuperare. Ho consegnato e ho acceso la tv, ma non sono riuscito a vedere nulla: essendo la tv incastrata in quel dannato muro, la muffa ha preso il controllo dello schermo e ha oscurato tutto, così ho continuato a cambiare canale e, solo per un attimo, è apparso Gerry Scotti che mi ha fatto una paura tremenda perchè aveva i denti serrati e gli occhi da shining e allora ho spento e ho mandato a fanculo la tv e mi sono alzato.

Ho guardato per qualche minuto fuori dalla finestra: il cielo era scuro e non ho sentito scorrere l’elettricità per le strade, ho pensato di essere pazzo o di essere in un sogno. Poi mi sono girato e ho visto mio figlio che guardava la tv e la faccia di Milo Cotogno che versava un bicchiere di Favolizia a Principessa Odessa, così mi sono avvicinato e mi sono seduto di fianco a lui, sul divano quattro posti. Ho steso le gambe e mio figlio si è sdraiato su di me e ha poggiato la testa sul mio braccio. Ho pensato di non essere abbastanza forte, di non riuscire ad assicurargli un comodo sonno sul mio bicipite poco allenato. Intanto Lupo Lucio ha cercato di diventare bello attraverso un incantesimo di strega Varana, ma ha solo peggiorato il suo aspetto e Milo Cotogno ha cercato di far capire a tutti i bambini di Città Laggiù che non ha nessun senso provare a cambiare il proprio aspetto, che ognuno di noi è bello a modo suo e che spesso, cercando di migliorarci, ci peggioriamo e allora ho guardato mio figlio, ormai bello che andato, e ho pensato che avrei dovuto ripetergli questo insegnamento, che non poteva perdersi un tassello così importante della sua educazione solo perché si era addormentato e che sarebbe diventato un pessimo adulto se non avesse seguito il consiglio di Milo Cotogno. Il pezzo di muro sopra la televisione, in un attimo, è stato mangiato dalla muffa e si è rivestito di una patina gelatinosa che mi ha schifato e ho sentito un conato di vomito salire, bloccarsi nella gola e rimanere lì, in attesa di qualche avvenimento ancora da definire. Fata Lina ha aiutato Lupo Lucio a tornare normale, peloso, acido e bello a modo suo e mi sono detto che era arrivato il momento di andare a letto e mi sono alzato. 

Ho avuto male alla schiena mentre camminavo e ho pensato che non si può non fare movimento e sperare che il corpo rimanga quello di una volta e che sarei dovuto andare almeno a camminare mezz’ora al giorno mi è salita l’ansia solo per la stanchezza futura. Sono entrato nel letto e ho sentito il corpo caldo di mia moglie, ho visto che stava leggendo un libro e l’ho guardata per un paio di secondi e ho pensato che sarebbe stata una vita misera e povera senza la sua presenza e le sue rotture di coglioni e i suoi pianti e le sue cene del cazzo sempre in ritardo e che sarei stato un uomo diverso. Mi sono messo sul mio solito lato e ho chiuso gli occhi, ma ho sentito il bisogno di andare a pisciare e mi sono alzato, sono uscito dalla camera e sono entrato nel bagno con grande vasca e  forte odore di sapone e deodorante. Mi è sembrato di essere in un acquario, con i tubi, nei muri, pronti a riempire la stanza e a far salire il livello dell’acqua per annegarmi in un bagno profumato. Mi sono seduto sul cesso e sono stato un quarto d’ora per pisciare e mi hanno fatto male le palle e la parte sopra le palle e anche quella sopra ancora e mi sono detto che dovevo lavarmi i denti.

Mi sono guardato allo specchio e mi sono visto magrissimo e senza un briciolo di pelle, solo ossa senza muscoli. Ho notato i miei occhi spenti e la scena si è fatta bianca e nera e una tristezza incredibile ha preso possesso del mio corpo. Mi sono sentito stanco e mi sono messo a lacrimare come un bambino e mi sono detto che potevo anche non lavarmeli i denti per quella sera, che fino a duecento anni fa nemmeno se li lavavano e, per le strade delle città, c’era merda ovunque. Ho solo aperto un po’ l’acqua del lavandino per depistare mia moglie e ho visto l’acqua scendere nel tubo e venir risucchiata dalla pareti, ho visto le crepe tagliare in due le mura e diventare profonde e aprire solchi definitivi. Mi sono sentito troppo stanco per risolvere la situazione. Sono uscito e mi sono aggrappato all’asticella su cui viaggia la bombola di ossigeno e zoppicando, con le gambe ferite dalla stanchezza, sono arrivato al letto e mi sono steso e ho avuto una piccola crisi respiratoria. Ho alzato l’ossigeno e mi sono sentito, per un secondo, meglio, mi sono sistemato sul mio lato e ho guardato il muro, le crepe diventare voragini e ho visto le pareti pronte a cadere e cedere e non lasciare traccia della loro esistenza e di quello che contenevano e di quello che hanno rinchiuso e racchiuso per anni e dell’amore con cui le abbiamo erette e della miseria con cui ora vanno giù. Ho visto un paio di persone intorno a me, solo profili, senza volti ben definiti, ho sentito il loro calore, il puzzo acido delle loro lacrime, e per, un attimo, ho pensato che la casa non sarebbe caduta e io avrei respirato ancora da solo. Poi ho sentito l’ossigeno artificiale della macchina e ho chiuso gli occhi. E così, sono morto.

Giuseppe Fiore

Copertina Raffaele Tramontano