racconti

Miss Hilda e Il libro per signore di Mr. Godey

Ti posso assicurare che lui sembrava altrettanto raggiante quando ti ha accompagnato in quelle camminate eccessivamente sentimentali per Darling House.

Romance of Old Letters  

Harry Harewood Leech

Ho vagato solitario come una nuvola nel cielo per molto tempo, prima di versare lacrime pesanti come la pioggia che si abbatte sui narcisi gialli e bianchi. 

I fiori dell’agriturismo crescevano ai lati di un sentiero pedonale, in piccole aiuole delimitate da sassi piatti e grigi che sembravano rubati da un fiume. Gelsomini, petunie, garofani, gerani e narcisi di tutte le tonalità incorniciavano il giardino di Darling House con un prato coloratissimo che da lontano trasformava l’intera proprietà in un paesaggio da impressionisti, mentre le persiane verdognole alle finestre, la tinteggiatura marrone e il tetto con le tegole ricordavano un quadro di Cézanne. Gli unici due rumori che rompevano il silenzio erano il ronzio incessante degli insetti e il gallo segnavento che cigolava ad ogni minima folata.

Darling House era un agriturismo pacifico e solitario. Si ergeva sul clivo di una collina ed era circondato da dolci pendii verdeggianti; a valle c’era un torrente, dietro alla casa cominciava un sentiero sterrato che aggirava le colline e conduceva a valle e, nelle mattine serene, dalle panchine sistemate sotto al gazebo davanti all’ingresso si poteva vedere il mare. I fiori, le fontanelle di granito, le statue finte-greche e il ghiaino sotto agli ombrelloni del dehors completavano il quadro.  

Darling House era il posto perfetto.

Sono stato un professore universitario per trent’anni. Ho smesso di insegnare da un po’ di tempo, e con la pensione e i risparmi di tutta la vita ho deciso di ritirarmi e, forse, fallire miseramente. 

Ero rimasto solo, così solo che tutto quanto attorno a me aveva smesso di avere senso.

Mio cugino aveva divorziato da sua moglie tre anni prima, era rimasto solo e triste per un po’ e dopo un anno aveva conosciuto un’altra donna che aveva finito per sposare. Anche io avevo divorziato, ma al contrario di lui non avevo né cercato né trovato altre compagnie. Mi sentivo abbandonato anche da me stesso e niente di ciò che facevo aveva senso: i corsi sui poeti romantici e sulla letteratura francese erano diventati stupidi, ogni cosa era priva di colore. Mio cugino – anche lui era un professore di letteratura –, dopo avermi visto ogni giorno per un anno come un sonnambulo, mi disse che avevo bisogno di una pausa e che forse sarebbe stato meglio dedicarmi al libro che tanto avrei voluto scrivere. In altre parole avrei dovuto usare il divorzio e il dolore come stimolo per creare qualcosa di bello. Mi disse di andarmene dalla città e di cercare un posto tranquillo e senza turbolenze – un posto che potesse aiutarmi a ritrovare la serenità –, così scelsi Darling House.

Quel giorno – il giorno in cui mi sedetti su una delle tante panchine verdi del giardino e piansi sopra ai fiori ai miei piedi – era la seconda mattina del mio soggiorno in agriturismo. Mi ero svegliato abbattuto, triste e convinto che l’idea di mio cugino si sarebbe rivelata un fallimento come qualsiasi altra cosa nella mia vita. La colazione, in realtà, mi aveva rincuorato – mangiare fette biscottate con la marmellata e bere caffè all’aria sotto al gazebo mi aveva fatto sentire felice –, ma poi la mattinata si era trascinata nel nulla più totale. Verso le undici mi sedetti su una panchina e, disperato, cominciai a piangere in silenzio. 

– Tutto bene? 

Alzai la testa cercando di asciugarmi furtivamente una lacrima. La luce del giorno alle spalle della donna che era sopraggiunta nascondeva il suo volto.

– S-sì. Grazie.

– Sta piangendo? – chiese sedendosi vicino a me. – Non voglio intromettermi, mi scusi. È solo…

La cosa che mi colpì di quella sconosciuta era la gonna. Indossava una sottana pieghettata e lunga fino ai piedi con un orlo di pizzo e una fantasia a fiorellini tono su tono. Mi stupii perché la trovai molto antiquata – non avevo mai visto una gonna simile.

– È solo che l’ho vista qui, qui seduto a piangere, e mi sono preoccupata. Va tutto bene?

– S-sì, non… non è niente – balbettai. – Grazie.

– Bene – sorrise la donna alzandosi in piedi. – Scusi se mi sono intromessa.

– Si figuri. 

La donna annuì e riprese a passeggiare per il giardino. Io mi risedetti, la guardai allontanarsi e notai che la camicetta bianca che portava dentro la gonna la faceva sembrare un personaggio di qualche romanzo d’appendice di fine ‘800 – le mancava solo un capellino. Sorrisi: il libro che tentavo di scrivere da molti anni era ambientato proprio nell’epoca da cui pareva fosse sbucata quella donna misteriosa. 

In realtà il mio libro era un progetto tutto ancora da strutturare. L’unico elemento su cui non avevo dubbi era il titolo: Il libro per signore di Mr Godey.

Anni fa, durante la preparazione di un corso sulla letteratura inglese e americana dell’800, mi imbattei per caso in una rivista femminile pubblicata a Philadelphia – il Libro per signore di Mr Godey per l’appunto –, e leggendone alcuni brani fui catturato dalle atmosfere bucoliche di quelle vite alla Emily Dickinson. Decisi di scriverci sopra qualcosa: da un brano breve e stupido passai a un racconto, dal racconto abbozzai una trama più corposa e poi il lavoro e la vita si misero in mezzo e il mio “libro per signore” fu riposto in un cassetto. 

Il giorno dopo, mentre facevo colazione, la donna misteriosa si sedette a uno dei tavolini in ferro vicino al mio.

– Buongiorno.

– Buongiorno – risposi.

– È una giornata splendida, vero? 

Concordai. Notai che la donna aveva gli stessi abiti del giorno prima, e in più indossava un cappellino simile a quello che avevo immaginato.

– Sa, io adoro fare colazione all’aria aperta – disse a un certo punto. – Mangiare appena dopo essersi alzati con l’aria fresca del mattino è più rinvigorente di qualsiasi altra cosa.

– Sono d’accordo – risposi. – Anche se vivendo in città non ho mai occasione di fare colazione all’aperto.

La donna sorrise, poi prese la tazza del caffè sollevando un mignolo e bevve. 

Più tardi, mentre scribacchiavo alcune impressioni sui fiori, gli insetti ronzanti e le fontane di granito seduto sulla solita panchina, la donna ricomparve sul vialetto.

– Ri-salve – sorrise.

– Buongiorno – dissi io.

– Cosa scrive? 

– Appunti – risposi. – Niente di che.

– Posso? – mi chiese indicandomi il posto vuoto sulla panchina. Si accomodò senza aspettare risposta.

– È così pacifico qui.

– Mi dica, – disse dopo un attimo di silenzio – cosa preferisce? Il ronzio degli insetti, il profumo dei fiori o il calore del sole primaverile?

– Non saprei – ridacchiai. – Forse tutto l’insieme.

La donna sorrise e allungò una mano.

– Io sono Miss Hilda.

Dopo un istante di esitazione e spaesamento le strinsi la mano e mi presentai anch’io.

– Scusi se glielo chiedo, – mi disse – ma lei è uno scrittore?

– Più o meno – dissi.

– Cioè? – ridacchiò Miss Hilda guardandomi negli occhi.

– Cioè…

Sospirai e le raccontai tutta la storia: il divorzio, l’università, mio cugino, il libro, la rivista femminile, la vita bucolica, Emily Dickinson. Miss Hilda, tra un monologo e l’altro, mi chiese se mi andasse di passeggiare.

– Mi dispiace molto per sua moglie e tutto il resto, – disse alla fine – però il suo libro sembra proprio bello.

– Per ora ci sono solo pochissime pagine sconnesse. Spero possa migliorare.

– Ma come mai ha scelto questa storia? Perché proprio la campagna inglese di fine ‘800? Se posso chiedere, ovviamente.

– Perché… Non saprei, in realtà.

La passeggiata fra le aiuole, vicino alle fontanelle gorgoglianti e fra gli insetti era piacevole e rasserenante – proprio ciò che cercavo quando avevo scelto Darling House.

– Da professore ho fatto tantissimi corsi sulla letteratura di quel periodo, quindi anche sulla vita dei nobili spesa fra tenute e case di campagna. Probabilmente è solo sindrome dell’epoca d’oro, o forse il divorzio e la mia vita a scatafascio hanno semplicemente acuito la passione che provo per quel secolo lì, ma… 

Sorrisi.

– Non saprei, magari sono solo triste.

– Non mi sembra una cosa così strana. Tutti quanti vogliamo essere felici. Se scrivendo questa storia si sente felice, se riesce a viaggiare fino a quegli anni e a trovare un po’ di pace, ben venga. Ad essere onesta, io non ci vedo niente di male. Anzi, lei è molto fortunato.

– Cioè?

– Non tutti quelli che sognano di vivere in un tempo che non è il loro hanno la fortuna, la voglia, la forza o la capacità di scriverne. Io leggo molto. Leggere è come viaggiare, ma suppongo che anche scrivere lo sia.

– Sì, probabilmente lo è.

– Se è triste per quello che le è successo può scrivere e rimediare. Può inventare una storia dove tutto va bene e per un po’ vivere lì dentro. Dico bene?

– Dice benissimo – risposi.

– Magari, parola dopo parola, riuscirà a trovare la tranquillità che le serve anche qui – aggiunse. – E poi questo posto assomiglia così tanto alle tenute di campagna… Darling House è davvero un posto magico. Continuammo a passeggiare e chiacchierare per tutta la mattina. 

Quella sera, ispirato dalla passeggiata, buttai giù qualche brano. Nel primo, il personaggio di Godey arrivava in un paesino di campagna per scrivere alcuni articoli sulla vita bucolica, poi si innamorava del posto e cominciava a scrivere articoli e raccontini che poi regalava alle donne del villaggio e ai loro mariti. Nel secondo, invece, tratteggiai la protagonista femminile nonché interesse amoroso di Godey, e la chiamai Hilda. Nel terzo, l’editore di Godey, entusiasta dei suoi scritti, avrebbe pubblicato tutti gli articoletti in un unico libro – il Libro per signore di Mr. Godey, per l’appunto –, convinto che le donne l’avrebbero apprezzato. Per la prima volta dopo molti mesi andai a dormire rilassato e sereno.

Il mattino dopo, quando scesi per la colazione, cercai invano Miss Hilda fra i clienti con cui avevo condiviso il soggiorno fino a quel momento. Confuso, chiesi al proprietario se fosse per caso partita all’alba o la sera prima.

– Miss Hilda? – mi rispose guardandomi con aria perplessa. – Non abbiamo nessuna cliente con quel nome, signore. E io non ho visto nessuna donna con una gonna come l’ha descritta lei. Mi dispiace.

– C-capisco…Spaesato, uscii dall’edificio principale e mi sedetti sulla mia panchina – quella su cui avevo pianto. Guardando i narcisi, mi dissi che quelle lacrime erano fuori luogo – come Wordsworth, non potevo sperare in compagnia migliore –, poi pensai a Miss Hilda e mi chiesi se per caso non l’avessi solo sognata. Era mai possibile? Era stata tutta un’allucinazione? Mi sembrava così strano. Per la prima volta da molto tempo, però, ero felice – felice della mia scrittura, felice dei miei progressi, felice e basta. Un po’ ingenuamente – un po’ come nei vecchi romanzi d’appendice –, pensai che alla fine andasse bene così, e mi lasciai cullare dalla brezza che faceva ballare i narcisi.

Alessandro Mambelli

Copertina Ottavia Marchioni