racconti a tema

TUTTO E NIENTE

“E stasera ho quella visita medica” – disse mentre abbottonava i jeans scoloriti a vita alta.
“Ce la facciamo poi a vederci per cena?” – chiesi tra le coperte con la luce del sole che entrava dalla finestra.
“Non so, l’appuntamento è alle sette. La visita potrebbe durare più di un’ora” – replicò dal bagno alzando il tono di voce.
Guardai fuori: era una bella giornata primaverile perfetta per andare a correre.
Noemi avrebbe voluto che le dicessi che l’avrei accompagnata. Invece rimasi in silenzio.
Vestita e truccata mi salutò con un bacio sulle labbra e mi guardò negli occhi: era dispiaciuta di non avermi sentito dire: vengo con te.
Dopo poco mi alzai. Feci una doccia calda, colazione con un frullato di frutta e via a correre.
Mi sentivo in forma. Avevo trovato un equilibrio quotidiano e fare l’amore con Noemi era un pezzetto del puzzle del mio benessere. Poi c’era l’attività fisica, la dieta, il nuovo incarico come responsabile del nuovo progetto. Gestivo la mia vita a pieno ritmo. 
“Ehi Beppe, stasera partita a squash?” – domandò Diego passando tra i corridoi dello studio.
“A che ore?”
“Facciamo alle otto?”
“Andata.” 
Durante il meeting, in uno dei pochi momenti di distrazione, pensai che la mattina stessa avevo chiesto a Noemi di vederci per cena. Anzi, avevo fatto di peggio: glielo avevo detto facendo intuire speranza e voglia.
Tornai con la testa al progetto e non considerai più il problema.
Durante la pausa pranzo, al bar sotto l’ufficio, seduta di fronte a me, Nora: l’unica donna dell’ufficio e, per di più, al comando. Nei discorsi tra un morso e l’altro volavano parole di apprezzamento: frasi che alludevano al suo fascino. E lei si compiaceva. Era il desiderio di ogni uomo presente in azienda. Anni prima c’eravamo anche frequentati per un po’.
Al caffè mi squillò il telefono. Era Noemi.
“Che fai?”
“Sono al bar con i colleghi.”
“Ho appena finito di mangiare. Oggi ho un sacco da fare, non so davvero come arrivare a fine giornata. E poi c’è la visita, che palle!”
Rimasi in silenzio. Ancora. Tutte le volte che ci sentivamo lei era entusiasta di condividere con me qualsiasi cosa le capitasse. 
“Giornate dure. Io entro in riunione appena finita la pausa.”
“Ok, ci sentiamo più tardi.”
Attaccai con voce suadente accennando un sorriso.
Trascorsi pochi minuti, il telefono trillò: un suo messaggio.
Ce la fai ad accompagnarmi stasera?, chiedeva.
Non risposi e rimisi la mia concentrazione sul foglio di lavoro che avevo davanti a me.
Uscito dall’ufficio, tornai a casa. 
Mi spaparanzai sul divano, recuperai il suo messaggio e mentii:
Credo proprio di no. Sono in ufficio e ne avrò ancora per un po’. Fammi sapere come va
Così accesi lo stereo mettendo su Superstition di Stevie Wonder.
Mi venne da pensare a lei, a quanto ci divertivamo tra le lenzuola. Il telefono trillò ancora:
Capito. Riunione lunga allora. Comunque credo non ceneremo insieme, non so quando finirà la visita e sono già stanca. 
Magari ci vediamo più tardi, replicai subito.
Non rispose più. Mi tirai su dal divano e alzai il volume. Alle otto volai al campo per la partita a squash che durò due ore. Tra un tiro e una palla rimbalzata male, mi ricordai di sembrare, agli occhi di Noemi, interessato sul suo stato di salute, così le inviai un vocale aggiungendo che l’avrei raggiunta a casa sua per le undici. Lei, felice, rispose che era andata bene e che aveva proprio voglia di me. Bevemmo un gin tonic, parlammo della nostra giornata ormai finita e facemmo l’amore. Due volte. 
La mattina mi svegliai presto. Noemi dormiva ancora. Così preparai la colazione e scrissi un biglietto: Buongiorno, spero che il caffè sia ancora caldo al tuo risveglio.
Quel weekend andai ad una conferenza a Verona. Noemi da quella mattina non l’avevo più vista. Erano passati tre giorni. Ci sentivamo di continuo, perlopiù con messaggi. Lei telefonava spesso, ma m’inventavo sempre qualcosa per non rispondere. Ormai erano cinque mesi che la storia andava avanti. Noemi era sempre più dolce e presa da noi. Io continuavo a fare l’egoista ma non fino al punto di andare con un’altra: vedevo solo lei e per me andava bene così. Quel fine settimana però, Nora si fece avanti con insistenza e tra una battuta e un drink di troppo, scopammo. Ma non era niente più di questo. Non le avrei mai preparato il caffè al mattino, tanto meno scritto un biglietto. 
Tornato a Milano, il lunedì fissai a pranzo con Noemi.
“Come è andata a Verona?” – mi chiese mentre sorseggiavamo un calice di Kerner seduti al tavolo.
“Bene dai. Tanta teoria e relatori noiosi, ma tutto sommato interessante” – continuai a bere.
Per la prima volta mi sentii un vigliacco.
“Io sono stata sempre a casa a guardare la tele, voi che avete fatto di bello?”
“Siamo usciti tutti insieme a bere una cosa” – risposi con falsa tranquillità.
“Ho provato a chiamarti più volte sabato sera, ma era sempre spento il cellulare, te la spassavi eh?!” – rise un po’ isterica.
“I miei colleghi hanno ballato tutta la sera mentre io me ne sono stato seduto al bancone a bere. Me la godevo a colpi di cuba libre” – risi anch’io imbarazzato.
“Bevevi perché ti mancavo” – dissimulò un sorriso: aveva la consapevolezza di non essere sicura di quanto aveva appena detto.
La baciai con tenerezza e lei mi abbracciò. In quel momento arrivò Nora, vestita con un tailleur nero attillato e con un vistoso décolleté.
“Ciao, già finito di pranzare?” – esclamò guardandomi. Poi, senza nemmeno darmi il tempo di rispondere, si girò verso Noemi: “Ciao, come stai?”.
“Buongiorno. Bene, grazie. E tu?” 
“Tutto alla grande. A parte che oggi è lunedì e ho la scrivania piena di scartoffie” – e fece una smorfia con le labbra.
Noemi la guardò di sottecchi. 
“Ti fermi qui con noi?” – feci rivolgendomi a Nora.
“Volentieri” – e si accomodò cominciando a parlare di lavoro escludendo deliberatamente Noemi che, un po’ infastidita, se ne stava lì ad ascoltare guardando di tanto in tanto l’orologio. Scrutava i nostri sguardi e le nostre intese. 
Mi sentivo sotto pressione. Mi detestai per aver invitato il mio capo a sedersi al tavolo con noi. Noemi dava l’impressione di essere impaziente, di aspettare qualcosa o di voler dire qualcosa. Così non fui sorpreso quando la sentii chiedere:
“C’eri anche tu alla conferenza?”
Mi gelai. Nora stava fumando, aveva le gambe accavallate e sembrava pronta ad affrontare qualsiasi battaglia, e lo era. Era sicura di sé.
“Certo!” – rispose buttando fuori il fumo dalla bocca. Girò lo sguardo per un secondo verso di me, poi tornò a guardare Noemi.
“E’ stato un bel weekend” – ciccò la sigaretta sul posacenere, mi fece l’occhiolino. 
Noemi fece finta di non vedere, si alzò, mi salutò frettolosa balbettando una scusa e con un’alzata di mano si congedò anche da Nora. 
Rimasi seduto al tavolo con il pacchetto di Camel in mano. Mentre guardavo andar via Noemi, accesi una sigaretta e cominciai a tormentarmi: Noemi non era stupida, aveva capito tutto.
Saliti in ufficio, Nora mi chiese se potevo raggiungerla non appena avessi avuto un po’ di tempo per darle una mano con la chiusura di alcuni contratti. 
“Dopo ti va di fare un salto da me?” – la sentii chiedere ad un tratto: capii che la sua richiesta di aiuto era stata soltanto una scusa. Sospirai, presi ancora qualche momento poi le dissi senza troppi giri di parole:
“E’ stata una serata. Esco con Noemi e sto bene così” 
“Si lo so” – balbettò vinta – “Sono contenta per te” – e fece una pausa. – “Ma in fondo potremmo vederci, ogni tanto.”
Non le risposi. Le sorrisi e uscii dal suo ufficio con la testa che mi scoppiava. Mi sentivo tremendamente in colpa.
Chiamai Noemi per sentire come andava la giornata: il suo cellulare suonava a vuoto. Se prima avevo un dubbio, in quel preciso istante, fu fugato: Noemi sapeva tutto.
Così andai in confusione. Agii d’istinto: mi affacciai alla porta dell’ufficio di Nora e le dissi: 
“Ok per dopo.”
Abitava vicino al Piccolo Teatro di Milano, parcheggiai proprio di fronte al palazzo del suo appartamento. Aveva un attico da capogiro. Bevemmo un calice di vino e poi mi disse: “Torno subito.”
Mi misi comodo sulla poltrona di fronte alle grandi vetrate. Tornò dopo pochi minuti e non perse tempo in chiacchiere. Lo facemmo lì e poi in cucina. Esausto mi buttai nella vasca idromassaggio. Nora mi raggiunse anche lì. Una volta vestito e pronto per andar via, mi resi conto che Noemi non si era ancora fatta viva: né una chiamata, né un messaggio. 
L’indomani provai nuovamente a telefonarle.
“Ciao sono io” – dissi con voce tremolante.
“Ciao” – rispose con fermezza.
Pausa.
“Non ti ho più sentita” – esitai. – “Tutto bene?” 
“Si tutto bene. Credo di non voler più continuare a vederti.” 
“Cazzo!” – e quasi urlai. – “Ma perché?” – stavo perdendo la calma.
Sentivo che cercava le parole da qualche parte, come se le avesse appuntate su un taccuino. 
Poi la sentii dire tutto d’un fiato: 
“Sai? L’altra sera dopo la palestra sono andata a fare un giro. Avevo voglia di aria fresca e così ho scaricato una app per il bike sharing, ho preso quella più vicino casa e mi sono messa a pedalare. Ho fatto proprio un bel giro, mi sono messa anche le cuffie per non sentire rumori e godermi la città. Certo che Milano è proprio bella! Io credo che abbiamo la fortuna di vivere in una città così piena di vita, di cultura, di passioni. Sì, Milano è un concentrato di tutto che difficilmente puoi trovare altrove. Ho passato monumenti, palazzi storici, musei, teatri. Ci sono tanti teatri, non c’è solo il Teatro alla Scala. Ma questo tu lo sai.”
Questa era la prova del nove: Noemi sapeva di me e Nora, sapeva che con buone probabilità la cosa si sarebbe ripetuta con la mia collega o con altre donne. Sapeva che con lei, Noemi, io stavo bene ma che ci sarebbe stato sempre un forse alla fine di ogni frase che iniziava con io e lei.
Sapeva e non aveva detto niente, o almeno non direttamente. Nessuna sceneggiata. Nessuna attribuzione di colpa. Anche in questo momento doloroso manteneva la sua dolcezza e forse il suo amore per me.
“Ma questo cosa c’entra con noi?” – provai ad obbiettare.
Sospirò ancora poi aggiunse: “Tutto e niente” – e riattaccò.

Daniele Pratesi

Copertina di Domitilla Marzuoli