racconto di Natale

INSPIRATION BOARD

Il promemoria sulla lavagna, all’ingresso dell’ufficio, più o meno recita così:

 “A tutti i collaboratori di biró: riunione di redazione programmata martedì 1 alle ore 11 nella sala centrale. A partire dalle 10:30 ognuno, a turno, dovrà lasciare sul tavolo più di un oggetto (natalizio o meno poco importa): servono idee per il numero di dicembre.”

È perentorio, io e la mia socia, ce ne rendiamo perfettamente conto, ma non possiamo perdere ulteriore tempo: andiamo in stampa proprio la vigilia di Natale e di strutturato c’è poco e niente.
Alle 10:25 attacco un post-it all’angolo destro del tavolo: “accenti di dicembre” scrivo in nero. Dopo cinque minuti ha inizio una sorta di processione all’altare: io e la mia socia ci godiamo quel lento via vai sorseggiando caffè appoggiate allo stipite della porta.

Alle 11, quasi in sincronia, le porte dei tre uffici si aprono e, in religioso silenzio, ci disponiamo intorno al tavolo.
Tutti, prima di prendere posto, lanciamo un’occhiata agli oggetti che, nonostante siano stati sparpagliati un po’ così a caso, sembrano avere un loro preciso ordine.
– Mettiamoci subito all’opera – esordisce, impaziente la mia socia. – Qualsiasi idea venga fuori la segniamo e poi cerchiamo di capire quello che è fattibile.
Un sì con la testa da parte del pubblico la spinge a continuare:
– Dunque partiamo dal basso: qui campeggia un bel calendario con decorazioni natalizie e qualche data segnata. Suggerimenti?
– Ho pensato ad un classico – interviene Tommaso, alzando la mano. – Il calendario dell’avvento. Da piccolo ogni anno ne avevo uno e ogni giorno aprivo una casella e c’era un cioccolatino diverso. Potremmo declinare quest’idea con le parole.
– Cioè? – domando.
– Una sorta di calendario delle parole sui cui scriverci 24 mini storie. Che ne dite?
– Non male. Dobbiamo capire meglio le tempistiche di editing, revisione e bozze. Appunta ma teniamo da parte.
– E il giorno di San Nicola è cerchiato per un motivo in particolare? – chiedo rivolgendomi ancora a Tommaso.
– Non guardare me. Non l’ho segnato io – dice alzando le mani in segno di difesa.
– L’idea è mia – si fa avanti Andreina, barese trapiantata nella grande metropoli. Anche oggi, mentre parliamo, sgranocchiamo i taralli arrivati con il “pacco da giù”.
– È risaputo che la figura di San Nicola è legata a quella di Santa Clause e quindi a Babbo Natale – aggiunge. – Potrei scrivere che ne so, un articolo sull’evoluzione della figura del santo, del suo ruolo nella sua comunità d’origine e alla fama che ha raggiunto con il passare dei secoli.
Andreina è dedita a questo tipo di studi antropologici su personaggi storici o mitici e cose simili, penso mentre la sento continuare con il suo monologo:
– … di come sia cambiata la percezione che la gente aveva del santo prima e di Babbo Natale poi. Dei colori legati alla sua persona e alla commercializzazione che ne è scaturita. E potrei finire con una lista di consigli cinematografici a tema.
– Insomma una tesi di laurea – ridacchia Marta.
– L’importante è che si mantenga su quattro colonne e non di più. Segna e poi vediamo – sorride la mia socia.
– Forse però ci stiamo concentrando troppo sul tema Natale – interrompo. – Sicuramente dedicheremo spazio alla cosa ma possiamo anche argomentare di altro. Che ne dite?
– E qui entro in scena io – dice Marta alzandosi in piedi. Acchiappa un libro dal tavolo e lo tira su nemmeno fosse un trofeo:
– Il Grande libro dei gialli di Natale. Per me e per tutti quelli che, come me, si sentono dei Grinch.
– Esatto esclamo. – Chi l’ha detto che a Natale dobbiamo essere necessariamente tutti più buoni?
– Esatto, – mi fa eco Marta. – E cosa c’è di meglio se non un’antologia di sessanta racconti gialli ambientati nel periodo natalizio? Credo poco.
– Dicci di più – le chiede ora incuriosito Alfredo.
– Allora tutto quello che so è che è edito da Mondadori, è stato curato da Otto Penzler che, dalle mie ricerche, pare abbia già fatto una raccolta di questo genere su racconti di Sherlock Holmes. Per quanto riguarda questo – e indica il libro – ho letto ancora poche pagine ma mi piace. Alcune storie sono spaventose e altre vagamente trash.
– E gli autori chi sono? – incalza Alfredo.
– Ci sono tutti i più grandi giallisti tipo la Christie, Conan Doyle e Wallace ma anche scrittori caduti nel dimenticatoio o che pochi conoscono come Chesterton, Stout e McBain. Insomma questa è una delle mie proposte. Segno sul taccuino?
– Segna, segna – e le faccio l’occhiolino.
– Qui però i santi si infittiscono – dice pensierosa la mia socia osservando il calendario. – C’è un cerchio su santa Lucia il 13 dicembre.
– Forse qualcuno ha scambiato il calendario dell’avvento per quello di Frate indovino – ride divertita Marta.
– Ma no – intervengo io. – Se guardate meglio c’è una sorta di appunto: avrei programmato la storivista con nientepopodimenoché il Premio Campiello Opera Prima 2020 Veronica Galletta e il suo Le Isole di Norman.
– E perché proprio il 13? – chiede la mia socia.
– Nel libro c’è un intero capitolo dedicato a questa festa con tanto di processione della statua della Santa. A Ortigia a quanto pare funziona così – e dopo una manciata di secondi di silenzio sento di dovermi giustificarmi: – Non so, quella data mi sembra propiziatoria per il pezzo.
– Stai diventando scaramantica – mi fa Andreina. – È cosa tipica al sud soprattutto…
– Andiamo avanti la interrompe Tommaso – prima che ad Andreina le venga voglia di sciorinare un altro saggio su usanze e tradizioni meridionali.
Uno sbuffo e una linguaccia e la guerra tra i due è già finita.
– Qualcuno vuole altro caffè? – chiede Alfredo accendendo la macchinetta e, senza aspettare risposta, apparecchia un piccolo vassoio con zucchero, palettine, biscotti, ancora taralli – per quelli che preferiscono il salato – e sei bicchierini di plastica ecologica.
Mentre attendiamo la nostra dose di eccitante l’indice di Tommaso martella ripetutamente su un punto preciso del tavolo:
– Scusate ma perché una lista dei buoni propositi per l’anno nuovo proprio il 15 dicembre?
È Alfredo a rispondere mentre si inchina da una sedia all’altra da bravo cameriere:
– Ho una strana abitudine in effetti – balbetta. – In realtà non è proprio una lista di buoni propositi per il futuro ma una resa dei conti di tutte le cose che mi ero ripromesso di fare in quell’anno e non ho ancora fatto.
Posa il vassoio e beve un sorso d’acqua.
– Cioè una sorta di “mi iscrivo in palestra a giugno per aver un fisico da urlo l’estate?” – chiedo curiosa.
– Si, diciamo che cerco di fare tutto quello che non ho fatto, nel lasso di tempo che ho ancora a disposizione.
– E se comunque non riuscissi a portare a termine tutto, che fai? Aggiungi queste cose nella lista del prossimo anno? – chiede Tommaso.
– Alcune cose si, altre le lascio andare – fa spallucce. – Non erano adatte a me.

Restiamo a lungo in silenzio.

Alfredo ci ha trascinato in uno stato catatonico riflessivo: la sua frase è stata potente. Riecheggia ancora: alcune cose si, altre le lascio andare. Non erano adatte a me. Il pensiero, lo percepisco dagli sguardi di tutti, è stato esteso anche alle persone. Una sorta di velata malinconia compare negli occhi di tutti. Devo intervenire: do una gomitata alla mia socia che mi capisce al volo e tiene banco:
– Allora Marta, riprendiamo il libro dei gialli a Natale – le dice sfogliando il libro. – Io farei una bella recensione nelle prime pagine riportando qualche passo di qualche racconto. Che dici?
– Si, si è una buona idea – tartaglia. – Avevo anche pensato ad un mezzo titolo. Qualcosa tipo: qualcuno ha ammazzato l’albero di natale. Per questo avevo accompagnato anche l’immagine di un abete spelacchiato.
Ride: si è ripresa del tutto.
– È un’ottima idea – la sostengo. – Allora andata.
– E invece, questo paesaggio nordico cos’è? – chiede Andreina che detesta la neve.
– È l’Islanda – risponde Tommaso. – C’è una tradizione la notte di Natale.
– Ecco, ci risiamo – lo interrompe Marta.
– Il fatto che ti definisca un Grinch non implica che qui il Natale debba essere abolito – replica Tommaso in tono di sfida.
– Per favore! Non voglio fare la mamma anche qui. – interviene la mia socia. – Ti prego Tommaso continua.
– Dicevo: c’è una tradizione in Islanda che è quella di regalarsi libri alla vigilia di natale e poi trascorrere l’intera notte a leggerli. È lo jólabókaflóð – e lo scrive su un foglio. – Letteralmente significa inondazione di libri per Natale ed è legata alla seconda guer…
– Si potrebbe fare una sorta di confronto delle tradizioni tra nord e sud – interrompe Andreina entusiasta.
– Ma no – obbietta infastidito Tommaso. – Avevo pensato a questa premessa per fare una lista di libri da regalare a Natale. Tutto qui. Di nuovo la mia socia interviene per ripristinare quella che sembra una lite tra fratelli.
Mentre gli ammonisce, constato che gli animi di tutti sono in subbuglio e molto eccitati da questa nostra trovata: ognuno sembra rivendicare le proprie convinzioni e quelle che sente siano le proprie esigenze. Tutto sommato è soddisfacente e penso che forse tutte le nostre riunioni dovremmo condurle in questo modo: stanno venendo fuori un sacco di idee e anche cose nuove riguardo le nostre attitudini.
– E queste forbici invece? – chiede Alfredo interrompendo il flusso dei miei pensieri. – A che servono?
– Bè servono per tagliare carta, scotch e assemblare un regalo – rispondo io. – A Natale servono sempre.
– Cos’altro serve a Natale? – chiede la mia socia.
– Ci risiamo – bofonchia Marta.
– O meglio – si corregge subito – cos’altro potremmo aggiungere al nostro numero di dicembre? Ci sono ancora tante cose sul tavolo.
– Bè io avrei pensato – è Alfredo che prende la parola sventolando un foglio su cui è stilizzato un abete colorato di rosso e verde – ai dubbi amletici natalizi.
– Uh mamma santa – bisbiglia ancora Marta, fulminata all’istante dalla mia socia.
– Quei dubbi del tipo – balbetta ancora Alfredo – come lo faccio quest’anno l’albero? Rosso e dorato o blu e argento? Cosa ci metto sopra? Un puntale, la stella o un angelo? Fili d’argento o…
– Oddio no! – interrompe Andreina. – I fili d’argento e la neve finta sono un obbrobrio vintage anni ’80. Per carità, no e mille altre volte no!
– Perché l’albero bianco? – aggiungo io. – È proprio brutto.
– A me non dispiace, lo faccio sempre così – dice Marta ammutolendo la platea. – Che c’è? – chiede: sa di avere gli occhi di tutti puntati su di lei – comunque le tradizioni vanno sempre rispettate.

E giù risate.

Dopo aver sbeffeggiato Marta e appurato che, a questo punto, proprio a tutti piace il natale, è d’obbligo un’altra domanda riassunta in un post-it lì accanto. È Tommaso che lo scorge, lo stacca dal tavolo e legge.
– Questa di sicuro è opera di Alfredo – preambola mentre il collega scuote la testa. – Tormentone del momento: cosa regalo a tizio?
– No, questa sono io – intervengo. – Tutti gli anni sempre la stessa storia: mi riduco alla vigilia per fare regali di dubbio gusto e quasi mai adatti a chi li riceve. Non ditemi che per voi non è così.
– Sì, è un classico – dice la mia socia – ma nel tuo caso, mi sa che ti impegni nel regalare cose a casaccio – e di nuovo si ride.
Poi lo stomaco di qualcuno fa un rumore strano: nessuno si è accorto che mezzogiorno è passato da mezz’ora. Ci siamo persi in chiacchiere: gli argomenti sono ancora gli addobbi di natale e il kit di regalo più odiato di sempre che cela un messaggio nemmeno troppo subliminale: sapone, profumo e crema.
– Scusate ma devo interrompere questo magnifico scambio di opinioni molto costruttivo – ironizza Marta e va a prendere il cordless. – Che ne direste di ordinare qualcosa da mangiare? – e con l’indice fa segno all’orologio appeso sopra il tavolino dove teniamo la macchinetta del caffè.
E mentre gli altri circondano Marta che annota ordini di insalate, pesce, pasta e coca cola, torno a contemplare questo immenso puzzle che abbiamo creato: sul natale, forse, abbiamo già detto il dicibile: non manca nemmeno lo chalet di montagna. Prendo la foto, l’analizzo, la giro e dietro scopro segnato un: Natale 1998. Catastrofe. AG.
– Questa nel mucchio non ci doveva finire – Alfredo si è avvicinato e mi sta sfilando l’immagine dalla mano. – È stato un capodanno tragico: la mia prima volta sugli sci. Mi sono cappottato dopo dieci minuti che ero in pista. Risultato? Lussazione della gamba destra e indice e medio della sinistra fratturati.
Rimette la foto nella tasca posteriore dei suoi jeans e riprende il suo posto.    
– Mentre aspettiamo che arrivi il pranzo, potremmo continuare – dico schiarendomi la voce. Così, anche gli ultimi rimasti in piedi si siedono.
– Dunque, qui c’è un bel quaderno – lo afferro e cerco di capire di chi possa essere la grafia.
– Ho appuntato dei titoli di romanzi che vorrei leggere per questo mese – si fa avanti Tommaso. – Come ho detto, non mi dispiacerebbe stilare una lista di libri da consigliare o da…
– Ma l’Ambra che è segnata qui è l’Ambra che penso? – chiedo incredula.
– Si, – sorride Tommaso – non sapevi che Ambra Angiolini ha scritto un libro che si chiama InFame? Ne parlano in radio, sui giornali è ovunque. Credo sia uscito da poco. Si tratta, a quel che ho sentito, di un romanzo autobiografico sulla bulimia. È edito da Rizzoli.
– Da Fazio raccontava di come in qualche modo le gravidanze l’abbiano aiutata a ripristinare quel senso di vuoto – aggiunge Andreina.
– E non avete visto la copertina! È una trovata ben riuscita – dice Marta – sfondo giallo, bocca fumettata aperta e il neo, suo inequivocabile segno distintivo, che ha fatto optare la casa editrice ad omettere il cognome.
– Questa donna mi sorprende sempre. Ho visto qualche film in cui lei recita molto bene ma non sapevo fosse così versatile da scrivere un libro. Per me resta sempre l’Ambra de Le ragazze di non è la Rai – non concludo la frase che suonano alla porta: è arrivato il pranzo. Decidiamo di consumare il pasto per terra, a gambe incrociate. Per stare un po’ più comodi, improvvisiamo una specie di tavolino con risme di carta impilate una sull’altra. Accanto a me ho ancora il quaderno con i romanzi segnati da Tommaso, così gli chiedo di parlarci di un titolo bizzarro che mi incuriosisce molto: Timidi messaggi per ragazze cifrate.
– Sono io che gliel’ho suggerito – interviene Alfredo – lo sto leggendo proprio in questo momento. È l’esordio di Ferruccio Mazzanti, edito da Wojtek che è una casa editrice indipendente – tiene a sottolineare come se non conoscessimo la sua smisurata passione per il mondo dell’editoria e delle librerie indipendenti.
– Ma di che parla? – chiede impaziente Marta.
– È la storia di un ragazzo, un hikikomori di nome Grot – comincia Alfredo – che è recluso in casa da milleduecentoquarantacinque giorni, che all’incirca sono tre anni e mezzo, che ha un unico modo di comunicare con l’esterno: inviare messaggi criptati a donne sconosciute.
– Scusa cos’è un hikikomori? – domanda Andreina.
– Già, hai ragione: non tutti sanno – riprende Alfredo – che un hikikomori è una parola giapponese che definisce una patologia sociale di alcune persone, generalmente giovani adulti, che vivono con difficoltà le relazioni sociali e che decidono di recludersi.
– E ti sta piacendo? – è ancora Marta a parlare.
– Assolutamente sì – risponde entusiasta Alfredo – ci sono codici numerici, metodi cifrari di Giulio Cesare, principesse azzurre, Blaise de Vigenère, Charles Babbage e Amy Winehouse.
– Sembra interessante. Mettilo pure nella lista dei libri da consigliare – e vado ad accendere la macchina del caffè.

La pausa pranzo sta quasi finendo: chiacchieriamo del più e del meno. Poi decido di staccarmi dal gruppo e di andare alla finestra con il mio bicchierino fumante: ho bisogno di pensare un attimo e ordinare mentalmente l’indice degli argomenti trattati finora. Alle mie spalle risate e parole che non riesco a comprendere bene.
Lo sguardo vagola un po’ fuori e un po’ dentro per soffermarsi alla fine su un dettaglio che non avevo colto fino a quel momento: un fiore di stella di Natale poggiato sul tavolo. Tutte le volte che vedo una piantina con quei petali rossi, penso alle scuole medie e alla mia professoressa di educazione artistica che fece realizzare, a tutta la classe, trecento fiori con carta crespa verde per le foglie, rossa o bianca per i petali, fil di ferro e tanta colla. T R E C E N T O stelle di natale come punizione per non ricordo bene cosa.
Porto quel fiore al petto, lo rimetto al suo posto e poi domando a gran voce:
– Allora riprendiamo?
– Quale altro titolo c’è lì dentro? – mi chiede la mia socia indicando il quaderno di Tommaso che tengo in mano.
– La città dei vivi di Nicola Lagioia – rispondo leggendo in alto a destra. – Si, lo conosco mi hanno parlato molto bene di questo libro edito da Einuadi: pare non si riesca a poggiare per quanto la storia ti prende. Una droga praticamente.
– Come il caso di cronaca nera di cui tratta: l’omicidio Varani del 2016 – dice seria Andreina.
– E sarebbe? – chiede Marta.
– Il ragazzo seviziato, torturato e ucciso nella capitale – interviene Tommaso – l’opinione pubblica si scatenò a riguardo per mesi. Secondo la critica questo è il libro più bello scritto finora dal direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino e considerate bene, con Ferocia, nel 2015, Lagioia ha vinto il premio Strega.
Sorrido per il suo entusiasmo: è palese che non vede proprio l’ora di leggerlo.
– Sbaglio o c’è un altro titolo lì accanto – chiede Andreina.
– Non sbagli. Qui c’è: Il Rosso e il blu. Una comune favola di migrazione di Luca Giommoni edito da Effequ – e rivolgo lo sguardo verso Tommaso per saperne di più, ma Marta, lesta, gli ruba la parola. 
– L’ho comprato proprio ieri in libreria – dice tirando fuori dalla borsa una copia del libro. – Mi ispirava la copertina con l’Italia rovesciata, il mare, i timoni e allora ho cominciato a sfogliarlo. Nelle primissime pagine c’è una sorta di mappa delle tubature con alcune bandiere e questo mi ha incuriosita ancora di più. E…
– E? – domandiamo in coro.
– E ho trovato questa frase in piccolo, sulla seconda pagina, in basso a sinistra che recitava così:

Questo è un libro indipendente, perché sgomita tra i colossi e prova a dire che c’è. Vogliategli bene.

Ed io mi sono proprio innamorata. Del libro, delle parole stampate, della missione di Makamba che vuole salvare il mondo con l’acqua e attraver…
– Scusa chi è Makamba? – la interrompo.
– È il protagonista della storia, della favola. Ieri poi, appena tornata a casa ho cominciato a leggerlo e non riesco a mollarlo. Ottima scelta Tommi – e gli fa l’occhiolino. Su qualcosa finalmente concordano.
– Scusate, ma questo è pungitopo? – chiede Andreina sollevando dal mazzo un rametto di vischio.
– No, è vischio – dice la mia socia.
– Oddio! Il vischio no! – esclama Marta. – Non voglio rischiare di dover baciare qualcuno che non ho nemmeno intenzione di sfiorare.
– Sempre la solita esagerata – la rimbecca Tommaso, di nuovo pronto a farle guerra.
– Scusate mi potreste dire – Alfredo alza la mano nemmeno fosse a scuola – che differenza c’è tra il vischio e il pungitopo perché io non sapevo nemmeno della sua esistenza.
– Wikipedia l’hanno creata per i tipi come te – chiosa Marta ridendo.
E si alzano tutti dalle loro postazioni reclamando una pausa per sgranchirsi le gambe.
La mia socia si fa un altro caffè. Andreina va in bagno. Tommaso spippola al cellulare e ride. Alfredo e Marta, fumano sul balcone senza giacca. Coraggiosi, penso: io ho uno scialle sulle spalle nemmeno fossi una vecchia novantenne.
Mentre tutti si prendono un’altra tregua da questa strana riunione di redazione, io continuo a lavorare. Scrivo appunti su fogli A4 immacolati, tolti alla stampante. Rubo delle graffette, che qualcuno ha versato sul tavolo forse per riempire spazi vuoti, per tenere insieme queste carte piene di mappe concettuali, scarabocchi, abbozzi di disegni. Sorrido compiaciuta: tutto lo spirito di biró è concentrato qui dentro.
– A cosa dovrebbe servire lo scotch rosso? – chiede Alfredo che cerca di scaldarsi le mani alitandoci sopra. Siamo tornati alle nostre postazioni e ormai tutti scalpitano per sapere chi farà cosa.
– Ma ovvio: per tappare la bocca a qualcuno che si intende rapire. Potremmo scriverci un pezzo: usi e colori dello scotch nel sequestro di persona – prende in giro Marta.
– Io nei film lo ricordavo nero – dice ingenuamente Andreina.
– Ma le dai anche corda? – scuote la testa Tommaso.
– Ok, basta così – interviene la mia socia. – Abbiate ancora un po’ di pazienza.
– Prima di comunicare come abbiamo intenzione di impostare il lavoro – continua la mia socia – ci sono ancora un paio di cosine sul tavolo che vorremmo prendere in considerazione.
– Tipo questo libro – intervengo io e leggo: – L’Ickabog della Rowling.
Do un’occhiata fugace agli astanti per capire a chi appartiene questa copia. Timidamente Andreina alza la mano:
– L’ho preso per mia nipote dodicenne: credo che si possa inserire nella listona di Tommi se lui è d’accordo – lui sorridendo, le strizza l’occhio in segno di approvazione.
– Si tratta della Rowling – prosegue Andreina facendo spallucce – c’è sempre la magia di mezzo, un regno lontano, chiamato Cornucopia, un sovrano benevolo, una terra generosa e un’antica leggenda che narra di un terribile mostro pronto a rovinare tutto.
– Poi due amici si ritrovano in un’avventura megagalattica che servirà a stanare questo Ickabog – interrompe Marta – anche io l’ho comprato per mio nipote: adora Harry Potter e pure i figli della Rowling credo.
– La magia a Natale ci sta sempre bene – annuisce la mia socia compiaciuta. – Andata!
– Cos’altro resta da vedere? – domanda ora Alfredo.
– Sparsi per l’intero tavolo ci sono fiocchetti, nastri colorati e carta regalo – rispondo.
– Altro quantitativo di monnezza da smaltire – fa Tommaso scuotendo la testa.
– Io conservo e riciclo sempre tutto il materiale per fare i regali – replico – a meno che non si tratti di carta strappata da buttare.
– Brava! È una buona pratica ecologica questa – è ancora Tommaso a parlare. Resta un attimo in silenzio e poi fa:
– Che ne direste di un articolo sul riciclo dei regali di Natale? Cioè non mi riferisco solo alle carte per impacchettarli ma anche a tutti quegli oggetti che non ci piacciono o che non useremmo più e che magari, invece di farli finire nella spazzatura, potrebbero piacere e servire a qualche nostro amico o parente.
– San Pio è il tuo secondo nome? – lo punzecchia ancora una volta Marta. Stavolta Tommaso non se la prende, ride.
– È una bellissima idea anche questa – approva la mia socia.
– Ok, ci siamo quasi! – è ancora lei a parlare. – C’è solo un’ultima cosa che vorrei farvi vedere – e dal tavolo prende un mazzetto di cartoncini rossi. – Ecco a voi, signori e signore, i nuovi segnalibro di biró! – E sventola vittoriosa quei rettangoli, con tanto di logo e fili intrecciati, che da tempo stavamo aspettando.

Tutti si alzano e si avvicinano a lei per prenderne uno, guardarlo, toccarlo, rigirarselo tra le mani. Tommaso lo inserisce nel suo quaderno, Marta lo sostituisce allo scontrino della coop nel libro che sta leggendo. Andreina e Alfredo lo tengono in mano fissandolo inebetiti. Io lo aggancio con una graffetta al plico dei miei appunti. – Bene, ci siamo! – dico per richiamare la loro attenzione – Scopriamo come abbiamo pensato di dividere il lavoro e cosa fare.

Sono passate le 16 da un paio di minuti e le luci degli uffici, ora, sono tutte accese. Dietro le loro postazioni di lavoro Andreina, Marta, Alfredo e Tommaso battono le dita sulla tastiera e controllano, di tanto in tanto, il monitor del pc. Qualcuno si blocca, prende una penna e segna qualcosa su un taccuino.
Li vedo intenti a scegliere parole, colori, immagini da una specie di cesta immaginaria da cui si può attingere all’infinito – o almeno così mi piace pensare – per raccontare storie, dare voce alle vicende più disparate, inverosimili, fittizie e reali. C’è qualcosa di magico in tutto questo. Mi affascina sempre il silenzio che aleggia nelle stanze, il ticchettio di tasti e il rumore che fanno le pagine quando vengono sfogliate. È il preludio a una magia potente, forse la più antica di tutte, che si ripete, nuova e costante.
– Eccola! – la mia socia mi distoglie da questi pensieri. È vicina alla stampante e tiene, schiacciato al petto, un foglio. – Sei pronta? – esclama euforica e mi mostra la copertina del nostro mese di dicembre: il nostro grande tavolo coperto dagli oggetti che abbiamo lasciato stamattina. Un titolo campeggia in alto:

un’immensa INSPIRATION BOARD natalizia.