
una moto Guzzi rossa e un paio di francesine
17 ottobre
Tra la pubblicità di Instagram compare:
Raccontando France Odeon. Selezioniamo 10 blogger emergenti che racconteranno XI edizione del Festival di cinema francese che si terrà a Firenze dal 29 ottobre al 1 novembre.
Il blog è ancora in fase di strutturazione. Nessuna pubblicazione. Tante idee, pochi racconti. Ci provo lo stesso.
18 ottobre
Mail inviata.
21 ottobre
Ore 6.30 suona la sveglia. Questo è il giorno delle risposte, penso. E di fatti arrivano verso ora di pranzo, quando apro la mail e leggo:
Congratulazioni, sei stata selezionata per diventare una dei dieci blogger ufficiali di questa XI edizione di France Odeon. Colgo l’occasione per invitarti a partecipare alla conferenza stampa generale di presentazione che si terrà mercoledì 23 alle ore 12 presso il cinema La Compagnia.
Non ci credo. Sono contenta. Felice come non mai. E poi mi chiedo: ehi, ma come mai hanno scelto proprio noi? Nessuna risposta al momento e mi lascio sopraffare dalla gioia.
23 ottobre
Arrivo in ritardo, come sempre.
La sala è stracolma di gente che non conosco (manco uno per sbaglio), non c’è posto nemmeno a pagare. Mi appoggio allo stipite della porta e mi guardo intorno.
Assessore alla cultura del comune di Firenze Tommaso Sacchi, presente.
Presidente di France Odeon Enrico Castaldi, presente.
Direttore dell’evento Francesco Ranieri Martinotti, presente.
Uffici stampa di varie testate giornalistiche, presenti.
Rai 3 con tanto di telecamere e microfono peloso, presente.
Blogger ufficiali, presenti.

Per un momento mi chiedo cosa ci faccio lì. Dovrei essere altrove. A refertare uno dei tanti monitoraggi ambientali per esempio. Dovevo consegnarli ieri. Sono indietro su tutto. In effetti è meglio essere qui che altrove.
Così distrattamente ascolto quel signore, il bell’uomo elegantissimo con gli occhiali neri (nonché direttore) e mi perdo: troppe conferenze stampa (tutti i giorni ore 12). Tanti film (undici di cui solo sette in gara). Tante giurie: una junior scelta tra i ragazzi del liceo Machiavelli–Capponi e una senior composta da: Conchita Airoldi, Roberta Mattei, Massimo Ghini, Bowland, Serafino Fasulo e guess star alias ambasciatrice di France Odeon per questa edizione, Benedetta Porcaroli. Alcuni ospiti famosi: Chiara Francini, Valeria Golino e Myriam Bru. A parte qualche nome a me noto (la triade in ordine alfabetico Francini, Ghini, Golino), ho esaurito le mie conoscenze (e competenze?!) sul cinema in questo Festival.
Poi una frase mi incanta:
… e siccome non avevamo un tappeto rosso come a Cannes o a Venezia, bhè ho pensato di portare tutti gli ospiti sulla mia moto Guzzi rossa.

Bella ‘sta trovata. Forse capirò com’è fatta una moto Guzzi rossa. Mai vista una.
Poi il discorso finisce. La gente va in un’altra stanza e restiamo solo noi blogger con Lorenzo e Caterina, le persone che ci coordineranno durante tutto l’evento. Ci offrono prosecco e ci regalano una borsa con all’interno ben d-u-e profumi Ferragamo: uno per lei e uno per lui.
Sei gentile signor Ferragamo, penso, ma a chi regalo un profumo da uomo se non ho un uomo a cui regalarlo?!
25 ottobre
Entro in un negozio di scarpe e compro un paio di francesine.

29 ottobre – 1 novembre 2019
XI edizione del Festival del cinema francese France Odeon.
1 novembre 2019 ore 00.30
Sono finalmente a casa.
Lascio le chiavi sul tavolo, sfilo il cappottino e lo appendo all’attaccapanni. Slaccio le francesine e sprofondo sul divano del mio piccolo loft. Con un gesto meccanico tiro su i capelli per avvoltolarli in una crocchia. Solo in quel momento mi rendo conto che ho ancora il badge appeso al collo. Lo guardo e sorrido: ho scoperto un segreto.

La locandina (riportata in miniatura sul mio lasciapassare) non è altro che un fotogramma del film Chambre 212 di Christophe Honorè. La donna con lo sguardo fisso e con una mano davanti alla bocca è Chiara Mastroianni (fotocopia del padre) che interpreta una moglie fedifraga assolutamente convinta che non ci sia niente di male nell’avere un’attività sessuale extraconiugale. Il marito non concorda (ah, che meraviglia la diversità di idee in una coppia!). Inevitabilmente i due si scontrano, così la donna decide di passare la notte nella stanza d’hotel che si affaccia proprio davanti al loro appartamento per sbirciare da quella finestra (questo dettaglio non mi è nuovo!) in casa sua e vedere le reazioni del suo compagno. Si ritrova quindi catapultata in una dimensione onirica strana pervasa dai suoi (moltissimi) amanti, dal suo io spronatore e da suo marito giovane che le posa le mani sulle labbra dopo averci stampato un bacio sopra.
Finalmente quel volto sulla locandina ha un senso.
Sospiro.
Intanto il gatto mi ha raggiunta. Fa un salto e si accoccola sulle cosce. Miagola: ha fame. Due minuti ancora e mi alzo, penso e non dico. Poi sbuffando mi tiro su, prendo da uno scaffale la scatola dei croccantini e ne rovescio un po’ nella ciotola. Per terra ci sono palline, topolini e il suo pupazzo preferito: un pulcino grande più o meno quanto lui che utilizza per sfogare il suo istinto animalesco che nessuna castrazione potrà mai eliminare.

Un po’ come il molosso gay (nel senso che gli piacciono i maschi umani) di Mon chien stupide di Yvan Attal (film tratto da un romanzo di John Fante: da leggere immediatamente). Questo canone nero, trovato per caso da uno scrittore alle prese con una moglie e quattro figli più che ventenni, diventerà manna dal cielo per il protagonista che ritroverà la sua smarrita, non-si-sa-quando-non-si-sa-dove, ispirazione.
Così, con un occhio ai sottotitoli in italiano (siano sempre santificati) e con l’altro alle immagini del film (è così che ho guardato alcune delle pellicole proposte), sono riuscita a farmi grasse risate e a commuovermi sul finale romantico (forse un po’ scontato). Bello soprattutto come il regista sia riuscito a cogliere alla perfezione le difficoltà nel rapporto padre-figlio, incentrato sul pensiero da parte dei figli che il genitore sia un supereroe e dalla parte del padre che i figli non vogliano mai diventare grandi. E invece poi succede: succede che si sfati il mito del super genitore e che i figli ad un certo punto crescano davvero. Insomma questo film non ha convinto solo me, ma tutta la giuria senior che l’ha reso vincitore ufficiale del premio Foglia d’oro.

Che poi, a dirla tutta, non è stato l’unico film vincitore. C’erano diversi premi in ballo: Premio Foglia d’oro Speciale a Camille di Boris Lojkine (che non ho visto), premio a Valerio Golino per la sua piccola parte in Dernier Amour di Benoît Jacquot (un film su Casanova), e Sguardi sul mediterraneo vinto da Un divan a Tunis di Manele Labidi (manco questo ho visto). Quest’ultimo premio, secondo il direttore, si è reso necessario non solo perché il nostro mar Mediterraneo è legato a tanto cinema francese, ma anche perché è diventato, oggi, il teatro problematico e doloroso di vita e di morte, di disperazione e di paure tra nord e sud.
Sbadiglio.
Mi sa che è ora di farmi una doccia e andare a letto. In bagno trovo i ferretti per capelli che la mia socia in affari ha dimenticato qui: è stata da me un paio di giorni per seguire il Festival da vicino.
Insieme abbiamo partecipato al Simposio sul restauro DNA italo-francese. Dall’arte al cinema che si è tenuto all’Istitut Français in una mattinata uggiosa di fine ottobre. L’abbiamo trovato molto interessante nonostante l’assenza della dose di caffeina necessaria per arrivare a ora di pranzo. Il concetto era fondato sull’importanza della conservazione e preservazione di tutti i beni artistici (si tratti di un monumento architettonico, pittorico o una pellicola cinematografica) in quanto memoria del nostro passato. Ma ancor più interessante è stato scoprire che i francesi citano alla prima occasione utile lui: l’indiscutibile, da me amatissimo, Victor Hugo (inchiniamoci tutti). Marine Butera, la blogger francese amante dell’arte e dell’antiquariato, che parla meglio di me l’italiano sebbene sia qui da soli due anni, mi dice che è così attuale. E infatti nella stessa giornata ho letto e ascoltato due sue citazioni. La prima appunto nella circostanza del simposio recitava così:


La seconda era nel contesto del film diretto da Ladj Ly che non solo ne prende in prestito una frase, ma anche il titolo del suo romanzo: Les miserables. Il film, premiato (con un altro Premio Foglia d’oro) proprio dalla giuria junior del ragazzi del liceo Machiavelli-Capponi, racconta la giornata-tipo in un quartiere poco raccomandabile di Parigi (una sorta di Scampia d’oltralpe) in cui la polizia deve mantenere delicati equilibri tra bande di delinquenti.
In tutto questo ci sono bambini e giovanissimi che assorbono e diventano vittime di violenza gratuita, soprusi e ricatti che li porteranno ad unire le loro poche e innocenti forze per ribellarsi. La scena finale è da brividi: un bambino ha in mano (letteralmente) il potere di decidere di punire con la vita o la morte quegli stessi adulti che lo hanno maltrattato e umiliato. Non si sa cosa sceglie quel poco più che adolescente: lo schermo diventa nero e una frase bianca (di Hugo) compare sullo sfondo:
Non ci sono né cattivi uomini, né cattive erbe. Ci sono solo cattivi coltivatori.
Con il pensiero di Hugo che mi gironzola in testa, comincio a spogliarmi e a guardarmi allo specchio: i miei fianchi larghi, la mia pancia, le mie cosciotte enormi e i buchi della cellulite sul mio culo. Ma servirà a qualcosa bere litrate d’acqua e andare in palestra?

Non lo so ma mi piacerebbe chiedere a Zahia Dehar come fa lei, così (apparentemente) perfetta. Ha infatti sfoggiato un corpo (e un topless) da urlo (il mio) nel film Un fille facile di Rebecca Zlotowski: una ventiduenne bella e giovane in cerca di non-sa-lei-nemmeno-cosa che riesce a sedurre (e portarsi a letto con estrema facilità) un facoltoso giovane uomo d’affari (bello a livelli stratosferici).
In tutto questo la cugina sedicenne dalla quale è andata a stare a causa del recente lutto materno, tenta di emularla non riuscendoci (per fortuna!). E niente, la bella ventiduenne se la prende in quel posto (un po’ in tutti i sensi) e non ha lezioni da portarsi a casa, la sedicenne protagonista, invece, sembra aver imparato per entrambe e alla fine del film giunge con le idee ben chiare riguardo il suo futuro.
Mentre mi asciugo e indosso il mio pigiamone antistupro il telefono trilla tre, quattro volte: è Marine che mi manda la traduzione dell’intervista fatta a Zita Hanrot, astro nascente del cinema francese, vincitrice in questo festival del premio l’Essenza del Talento alla quale abbiamo rivolto (sempre io e la mia socia) questa domanda:

Zita ride (anche la risata è francese) e dice:

C’est une question pas commune. Elle est difficile cette question puor moi, car je suis très gourmande. Je serai certainement une tourte aux noisette set au caramel, mais c’est une question dangereuse car je suis au régime.
Che tradotto sarebbe:
Questa è una domanda non comune. Questa domanda è difficile per me perché sono molto golosa. Sarei sicuramente una torta di nocciole e caramello, ma è una domanda pericolosa perché sono a dieta.
Che bello, penso, siamo tutte nelle stessa barca: attrici e non. Come ti capisco avrei voluto dirle. Ma non conosco il francese e a quest’ora sarà a casina sua in Francia (beata lei!).
I Bowland, invece, arrivati in finale nella scorsa edizione di X-Factor (che non guardo perché di musica non capisco un’acca), dormono a quest’ora nei loro appartamenti a Firenze ma vengono da Teheran. Tutte queste info le ho scoperte intervistando anche loro e passando una buona mezz’ora su internet. Si tratta di un trio composto da due ragazzi e una ragazza che sento già mia amica perché siamo alte uguali (cioè veniamo entrambe da Hobbiville). Alla domanda se fossi un dolce quale saresti, rispondono così:
Lei Low: creme brulè (da fuori è uno strato duro ma dentro è morbida e cremosa).
Pejman Fa: tiramisù (dice di aver bisogno di tirarsi su).
Saeed Aman: zuppa inglese (c’è un mix di dolce e amaro e con tanti strati diversi).

Poi ho fatto la stessa domanda a Massimo Ghini che mi ha preventivamente chiesto 20€ per la risposta capendo solo dopo che mi avrebbe fornito tutta una serie di informazioni di contorno che giustificavano in un certo senso la somma richiesta. Sarà quindi contenta mia madre (a lei piace un sacco) di sapere che ha quattro figli, adora Firenze e tutta l’arte in genere, non ama chi fa i bagordi e (soprattutto) chi li fa in una città d’arte. È un soggetto affetto da logorrea cronica a tal punto che devono intervenire per togliergli la parola e se fosse un dolce sarebbe la sacher.
Dulcis in fundo, ho posto la stessa domanda a Martinotti che mi ha risposto mentre toglieva la giacca del vestito, la cravatta e ne faceva un nuovo nodo (sempre con la stessa) per indossare infine un maglione blu ed essere più casual per la cena di chiusura. Mi sono incantata a sentirlo parlare di questo simil sufflè al cioccolato fondente con tanti strati e un po’ di zucchero a velo sopra.
Non me ne accorgo e mi addormento con il pensiero di quel dolce.

Che sogno meraviglioso.
8 novembre
Ad una settimana dalla fine del Festival mi trovo nuovamente all’uscita del cinema La Compagnia. Hanno rimosso il tendone con il viso di Chiara Mastroianni, ora c’è un altro evento in corso. Sto aspettando Marine, la mia nuova amica che si è convinta a darmi lezioni di francese. L’avevo detto che avrei finito per impararlo.
A bientot.


2 Comments
Valentina
Bellissimo resoconto, è stato emozionante rivivere quei fantastici 4 giorni fiorentini.
Alla prossima, Valentina
finestredizucchero
Buongiorno Valentina.
Grazie per le tue parole. Sì, concordo: sono stati dei bellissimi giorni quelli del Festival.
A presto