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Caledoscopiche Narrazioni

Son passati dieci mesi da quando è cominciato il 2019 e come al solito, in maniera rapida e (quasi) indolore, le stagioni non hanno smesso di avvicendarsi: l’inverno ha lasciato il posto alla primavera, questa all’estate e da qualche settimana l’equinozio d’autunno ha dischiuso il suo sipario. Tutto come di consueto: albe e tramonti, freddo e caldo, ore e minuti.

Un copione fin troppo conosciuto. In tutto questo poi succede la vita.

E la vita si sa, lo dicono i libri, gli articoli di giornale, le canzoni, gli slogan pubblicitari, insomma lo dicono tutti, non è che sia poi tanto buona e gentile. Tutt’altro. La vita è parecchio (ma molto parecchio) complicata.

Insomma, complicanze di base a parte, quest’anno mi sta presentando un conto strano.

Pausa.

Com’è che la narrazione da impersonale d’un tratto ha assunto una mezza identità da prima persona singolare?

Succede anche questo.

Non mi sono presentata. Non credo che lo farò, non nei termini ufficiali almeno.

Diciamo che basta sapere che vado matta per il cioccolato fondente e diciamo che complicazioni di base a parte, quest’anno mi sta presentando un conto strano.

Mi sta ripagando di qualcosa che pensavo di aver perso lungo la strada e che per me è preziosissima. Più del lavoro, dell’aria che respiro e dell’amore che con me ha deciso di giocare a nascondino. No, non si tratta di soldi (purtroppo): quella resta, non so ancora per quanto, la parte complicata della mia vita.

Ho una profonda ammirazione per le parole perché hanno questa straordinaria capacità di metterci in #contatto. Solo l’animale sociale uomo tra i vari linguaggi possibili che poteva inventarsi per trasmettersi l’un l’altro qualcosa, ha scelto questo, per me magnifico, mezzo di comunicazione.

Non so bene cosa o chi sia stato (come se poi esistesse realmente un colpevole) ad allontanarmi da quello che fin da bambina, ricevendo il mio primo libro Piccole donne, è stato il mio mondo incantato: il luogo dove ogni cosa era possibile. So solo che ad un certo punto la mia curiosità mi ha spinto tra altre braccia: mi sono concessa a tutto lo scientifico esistente. Cioè non proprio a tutto, altrimenti sarebbe stata prostituzione ai livelli massimali ed ultrauniversali, roba da non poterci competere. Solo alla biologia.

Ma la vita s’è detto, non è buona né gentile e gira che ti rigira ti toglie dal limbo in cui sei accidentalmente finita e ti riporta là dove devi essere.

D’un tratto mi è sembrato di essere stata catapultata in una radura deserta delimitata da tanti ed enormi alberi che lasciavano intravedere un passaggio, una strada, un cammino, un qualcosa.

Così mi son messa su quel sentiero e mentre lo percorrevo mi sono imbattuta in Firenze Rivista. Non la conoscevo.

Un mio amico, sotto il mio accorato appello di mettermi in #contatto con una qualche attiva realtà che si occupasse di scrittura, mi ha passato il numero di uno degli organizzatori dell’evento: Andrea Caciagli.

Non conoscevo nemmeno lui. L’ho chiamato e mi ha chiesto di inviargli il CV.

Silenzio. Panico. Non sapevo se ridere o piangere. Mille pensieri sono sfrecciati nella mia testa tra cui l’elenco dei santi ai quali votarmi e le poche, insufficienti, carte che avrei potuto giocarmi.

Ho scelto la verità (la sola che nel bene e nel male ripaga davvero sempre).

Gli ho detto che gliel’avrei mandato per e-mail, ma lo avvisavo anche che la mia era, se così si può chiamare, una carriera ad impronta biologica. Unica eccezione il trafiletto di tre righe che compare nella sezione Altre capacità e competenze dove racconto la mia attività culturale esauritasi in un paio d’anni: nel lontano 2012, mentre qualcuno attendeva fiducioso la fine del mondo annunciata dai maya, io aspiravo a diventare una scrittrice pubblicando alcuni racconti per una rubrica di un giornale universitario online. Non solo: mi sono improvvisata speaker per una web radio. Oggi realtà entrambe care estinte.

Incuriosita dalla conduzione radiofonica, la voce all’altro capo del telefono, mi ha chiesto di inoltrargli un paio di puntate di un qualche programma in modo da poter vagliare la mia utilità per Firenze Rivista.

Passarono almeno due settimane dalla telefonata prima che io cercassi (e trovassi) tra i file del mio notebook quello che restava di un programma ideato da me: Al di là della voce. Anche se il titolo poteva far ipotizzare una seduta spiritica via radio, in realtà si trattava di una trasmissione che si interrogava (per appagare la mia smodata curiosità) chi si celasse dietro la voce degli speaker nonché improvvisatori esperti di politica, calcio, cinema, serie tv, libri, scrittori e altro.

Insomma la mia voce e quel programma che aveva come sottofondo musicale Aint sunshine when she’s gone (scelta perché presente in una bellissima scena del film Notthing Hill), avevano conquistato. Tanto che Andrea mi disse:    

“Guarda le riviste e le case editrici che parteciperanno al Festival. Scegli quelle che in qualche modo ti ispirano, visita la loro pagina in modo da buttare giù qualche domanda perché le intervisterai.”

Detto, non fatto.

Figuriamoci se, con tutte le cose che avevo da fare, mi mettevo a spulciare ben 50 pagine Chi siamo di 50 siti tra riviste e case editrici. Non ne avevo voglia e non avevo più voglia di quel Festival che si occupava di promuovere la piccola e media editoria e le riviste presenti su tutto il territorio italiano.

Me ne dimenticai e solo a qualche giorno di distanza dall’evento cominciai a chiedermi se non avessi sbagliato a impelagarmi in qualcosa che non sapevo se poteva realmente piacermi.

Non avevo risposte e così alla mattina del primo giorno del Festival abbozzai domande a casaccio rassicurando me stessa che le idee sarebbero arrivate una volta cominciato.

E così è stato.

A pomeriggio inoltrato, ostentando il mio tesserino dello staff, come una vera giornalista, mi sono fiondata nell’area di esposizione: in fin dei conti quello era il mio mondo e dovevo in qualche modo rendergli omaggio. Alla vista di pile di libri dalle copertine più disparate, gadget vari, segnalibri coloratissimi e innumerevoli borsine di tela, ho sentito di aver raggiunto la pace dei sensi: ero a casa.

Non solo avrei voluto comprare tutto ma avevo anche deciso che li avrei intervistati tutti. Tutti e 50 tra riviste e case editrici (cosa che non mi è stata possibile fare per ragioni di tempo, sempre colpa sua).

Così in balia di una frenetica eccitazione mi sono lanciata ad intervistare Danilo […] di Alterego Edizioni che mi ha raccontato, senza che ci capissi granché, di come lui e gli altri suoi soci abbiano deciso di dare spazio alle contraddizioni di quest’epoca. E alla domanda:

“Chi avresti voluto come professore tra i personaggi della letteratura?”

non ha fatto una piega ed è rimasto coerente a se stesso (e alla sua casa editrice): il notaio John Utterson de Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mr. Hyde.

Dopo questi 10 minuti di dualismo cosmico, ho avuto modo di apprezzare la loquacità di Paolo Bernardi di Bacchilega Editore (un vero e proprio fiume di parole) nel suo elogio allo spirito di cooperazione tra le tante figure professionali che lavorano in una casa editrice: dagli illustratori di copertina ai tipografi.

Poi è stata la volta di Milena […] di Spunk comparsa con un paio di orecchie da gatto sulla testa. Con lei e il suo giornalismo per bambini sono tornata al tempo de La storia infinita: Fantàsia non deve morire e mai come adesso ha bisogno di tutta l’immaginazione per poter informare e formare gli uomini e le donne di domani.

Le ultime due interviste della prima giornata sono state quelle più divertenti in assoluto.

Ferruccio Mazzanti, presidente dell’associazione culturale (nonché rivista) di In fuga dalla bocciofila, mi ha trasportata in un mondo cinematografico fatto di no-sense tra recensioni di film liberamente ispirate e gare di Haiku giapponesi altrimenti tradotti come componimenti di 3 versi di 5-7-5 sillabe.

Invece Marco R. Michail (di origini persiane), direttore editoriale di Gonzo Editore, si è professato scuotitore di coscienze nonché seguace del giornalismo gonzo creato da quel genio di Hunter Thompson negli anni ’70.

Così si è conclusa la mia prima giornata. Ma sentivo che mi stava sfuggendo qualcosa. Pensa che ti ripensa ho pensato che in queste interviste il tema del Festival #contatto non era ancora il protagonista indiscusso.

Poi la genialata.

Il mattino seguente la prima cosa che ho fatto, una volta arrivata, è stata quella di passare dal quartier generale di Firenze Rivista: in realtà si trattava di un minuscolo tavolo a due sedie de Le Murate coperto da fogli spaiati, i-Pad, pc, cellulari e caricabatterie. Lì ho (proprio in quest’ordine) finito un pacco di libidinosi cantucci al cioccolato fondente e condiviso la bellezza di questo Festival con gli altri ragazzi del team (conosciuti due giorni prima).

Fiduciosa e ricaricata ho ripreso le mie interviste: così a Francesco Quatraro di EffeQu ho chiesto un #contatto tra la sua casa editrice e una nazione e, come per incanto, mi sono ritrovata in un posto pieno di storture, di incroci, ramificazioni e squarci di lucentezza straordinaria chiamato Brasile.

Poi è stata la volta della libido. Ebbene sì, anche il sesso vuole la sua parte narrativa almeno questo mi hanno detto Alice Scornajenghi, Marzia Grillo e Francesca Pignataro di Ossì Fanzine Editore, che si sono presentate a me orgogliose di aver tirato su un giornaletto porno come non se ne vedevano da tempo (o come non se ne sono mai visti) tanto che pure il Rolling Stone c’ha scritto su un pezzo. Superflua la loro risposta alla mia domanda di fare #contatto descrivendo la loro rivista con una posizione sessuale: un’orgia pop.

Dopo il momento fornicatorio, si sa, scatta il momento coccole e grattini e la tenerissima Elena Molini (che per tutta l’intervista ho continuato a chiamare Elisa, mea culpa, mea grandissima culpa) della Piccola Farmacia Letteraria faceva proprio al caso mio. Le sue terapie letterarie con tanto di bugiardino allegato, consigliate per alleviare i dolori dell’anima, mi hanno ricordato le zigulì colorate e zuccherose che i miei compravano tutte le volte che capitavano in farmacia.

Quando poi ho intervistato Beatrice Galluzzi ed Elena Ciurli di Donne Difettose sono tornata nella mia nicchia ecologica di wonder woman imperfetta. Per un quarto d’ora le ho ascoltate parlare di noir vendicativi e ricette del cornuto (facili, sbrigative e pompose a tal punto da avere il tempo necessario a rendere il marito cornuto o a farlo ritrovare con 500 € in meno sul conto bancario). Con questa celebrazione al caos e ai limiti che tutte, ma proprio tutte le donne hanno, il premio miglior #contatto lo vincono loro. Anzi tutte le donne (piccole femministe crescono).

Per finire in grande stile questa seconda giornata, mi sono sentita più ignorante della capra di Sgarbi quando ho intervistato Laura Catalano e le ho chiesto di fare #contatto con la sua 2001: una rivista di cinematografia multimediale, interspaziale, virtuale e tanti altri uale a me ignoti. Unica cosa per la quale il mio assentire con la testa non risultava una farsa è stato il chiaro riferimento al titolo del film di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio.

Tornata a casa non ho potuto fare a meno di chiedermi: ma cosa era successo fuori da quel mio spazio vitale fatto di un divanetto bianco due posti, taccuino in pelle, penna nera e registratore? E non mi riferivo ai fatti di cronaca nel mondo o a Duccio nuova fiamma della mia amica Valentina.

No, mi riferivo al Festival. Cosa succedeva al Festival mentre io intervistavo?

Valangate di interessanti incontri che si tenevano nelle varie zone adibite e dei quali io ho avuto poca cognizione. Solo quando andavo a reclutare volontarie vittime, tra una passerella e un’altra, sono riuscita a rubare qualche parola scambiata tra i relatori e a cogliere apprezzamenti dal pubblico che vi partecipava.

Ed è con questo mezzo rimpianto che l’ultimo giorno, rispettando la capatina al quartier generale, ho intervistato Davide […] di Carie letterarie che mi ha trascinato in un esperimento antropologico: che effetto fa alla gente trovare, nell’ansiogena sala d’aspetto di un dentista, invece dei soliti giornali di gossip, delle riviste letterarie? La morte della cultura: la sessantenne che chiede che fine abbiano fatto Vanity Fair e Chi perché quelle storie lì proprio non le vuole leggere.

And the last but not least ho sequestrato per 20 minuti tre degli organizzatori dell’evento, il già citato, Andrea Caciagli, Emanuele Giusti e Silvia Costantino interrogandoli sulla cronostoria di Firenze Rivista e sulle loro aspettative all’inizio dell’evento e di come (e quanto) queste fossero state attese dopo la tre giorni. Infine, anche a loro ho chiesto di fare #contatto (la genialata per l’appunto) con tutto quanto il Festival.

Per riportare quanto da loro risposto mi ci vorrebbero altri 13000 caratteri spazi inclusi ma mi limiterò a riassumere il tutto con una sola parola che tutte queste realtà (organizzatori compresi) in questi tre giorni mi hanno trasmesso (e che mi sto portando dietro ormai da un mese): la passione.

La trovo straordinaria tutta questa passione, tutta questa follia, tutta questa immensa fede per il narrare, per le parole. Trovo che sia emozionante, incredibile (HELP MEEE: necessito di altri sinonimi PLEASEEE).

Il mondo è pieno di avvocati, attori, medici, salumieri, dentisti, fattorini, scrittori, operatori di pulizia ambientale e domestica, cantanti, camerieri, pittori, professori, cuochi e musicisti: di tutti loro noi tutti abbiamo bisogno e costantemente ci rivolgiamo all’altro usando le parole. Scritte, non verbali, metafisiche, scientifiche, dialettali e giuridiche.

Noi siamo questo. Siamo parole in #contatto. Siamo un concentrato di caleidoscopiche narrazioni.

Francesca Gentile